L’aumento dell’aspettativa di vita si traduce in un inevitabile invecchiamento della popolazione. Questo comporta delle sfide molto complesse da affrontare. Approfondiamo insieme. Intro.
Nel nostro Paese l’aspettativa di vita è aumentata nel corso degli ultimi anni, grazie a differenti fattori concatenati.
Si tratta di una medaglia che l’Italia può orgogliosamente appuntarsi al petto, frutto anche di una delle migliori sanità pubbliche al mondo, ma ogni medaglia ha due facce.
Nel caso specifico, l’altra faccia della medaglia consiste nell’invecchiamento della popolazione.
Banalmente, se si vive di più, si trascorrono più anni nella cosiddetta terza età, con tutto quello che questo comporta: non autosufficienza, malattie croniche, spese mediche più elevate, costi sociali maggiori.
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L’intervento del professor Vincenzo Atella
Su questo tema l’interessante intervento del professor Vincenzo Atella, dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, tenuto lo scorso 5 marzo presso la Luiss Business School, dal titolo “L’invecchiamento in Europa: come e quanto si invecchia”, all’interno dell’evento “Invecchiamento e fragilità: il ruolo della sanità integrativa” organizzato da Mefop.
All’interno del suo speech il professore ha analizzato, dati alla mano, la situazione, partendo da alcuni punti essenziali:
- L’invecchiamento della popolazione rappresenta un problema di prioritaria importanza in tutta Europa;
- Nei prossimi decenni la percentuale di persone abili al lavoro (in termini di età) andrà a ridursi sensibilmente;
- Il PIL sarà molto più basso nel prossimo futuro;
- L’invecchiamento della popolazione, unito alla riduzione del PIL, creerà instabilità nei conti pubblici;
- L’invecchiamento della popolazione e il tasso di natalità sono due elementi da analizzare in combo;
- Le tecnologie mediche hanno un ruolo essenziale nell’aumento dell’aspettativa di vita;
- L’aumento dell’aspettativa di vita può avere anche dei ritorni negativi, se le condizioni di salute della persona non sono ottimali e richiedono interventi costanti;
Approfondiamo insieme, partendo dai dati utilizzati dal professore Atella.
Aumento dell’aspettativa di vita: la situazione italiana
Come indicato da Bloomberg, l’Italia ha uno dei servizi sanitari migliori al mondo, posizionandosi quarta nella classifica mondiale 2018 sull’efficienza della sanità, e prima nel 2017 come popolazione più sana al mondo.
Un altro dato molto importante riguarda il tasso di mortalità infantile, che ha subito una riduzione drastica negli ultimi trent’anni.
Lo stesso può dirsi riguardo l’aspettativa di vita nel nostro Paese, che è aumentata a dismisura dall’unità d’Italia ai giorni nostri, raggiungendo quasi i numeri del Giappone, il Paese più longevo al mondo.
In un secolo e mezzo siamo passati dall’essere una nazione nella quale si viveva male e poco, ad una in cui possiamo vantare numeri da grande Paese moderno.
Si tratta di una conquista importantissima, resa possibile dalla qualità delle cure mediche alle quali abbiamo accesso.
Ciò nonostante, ci sono numerose criticità da non sottovalutare.
La transizione epidemiologica italiana
Se è vero che nella storia del nostro Paese i dati generali sull’aspettativa di vita e sui tassi di mortalità sono migliorati, bisogna anche sottolineare alcuni dati preoccupanti.
In effetti, a partire dalla fine degli anni ‘50 – periodo in cui si era raggiunto un equilibrio alquanto stabile e positivo – in Italia si è verificata una situazione duplice.
Da un lato, i decessi per malattie infettive, gastroenterite e patologie al sistema respiratorio sono diminuiti, fino a toccare numeri davvero minimi.
Dall’altro lato, però, sono aumentate sensibilmente le morti per tumore e malattie cardiovascolari, entrambe legate anche allo stile di vita adottato dopo il boom economico.
Abbiamo, in sostanza, peggiorato i fattori di rischio legati, appunto, al nostro modo di vivere, dall’alimentazione alla sedentarietà, passando per il fumo di sigaretta e il consumo di alcolici.
Un esempio?
Rispetto al passato, negli ultimi 40 anni abbiamo raddoppiato l’apporto di grassi attraverso la nostra alimentazione.
Differenze socio-economiche, geografiche e cattive abitudini
Immaginare, nel 2019, in un Paese industrializzato e moderno come l’Italia, che la situazione di salute generale sia influenzata da fattori socio-economici come istruzione, posizione lavorativa, luogo di residenza, non è molto rincuorante.
Purtroppo, i dati confermano questo scenario.
Nelle regioni del centro sud, ad esempio, si registrano maggiori casi di obesità, anche infantile.
In alcune zone dello stivale c’è una concentrazione più elevata di sostanze tossiche nocive nell’aria, come metalli pesanti, diossina, particolato.
Inoltre, c’è una differenza evidente di genere: le donne mostrano maggiore attenzione nei confronti della nutrizione rispetto agli uomini.
Basti pensare che le donne consumano quasi il doppio delle verdure rispetto agli uomini.
Sono gli uomini, invece, a praticare più sport e attività fisica rispetto alle donne.
In entrambi i casi siamo il Paese in Europa con il più basso tasso di giovani tra gli 11 e i 15 impegnati in una moderata attività fisica giornaliera.
I nostri giovani non fanno attività fisica, ma iniziano a fumare molto presto. La percentuale fumatori con un’età intorno ai 15 anni è una delle più alte d’Europa.
Anche il consumo di cannabis e cocaina da 15 ai 34 anni è elevato.
Questi dati ci fanno capire che, all’interno di una situazione tendenzialmente positiva, sono proprio i più giovani ad essere maggiormente a rischio.
In un Paese con tassi di natalità così bassi e un invecchiamento progressivo inarrestabile, non è affatto una buona notizia.
L’Italia è un Paese sempre più vecchio
Secondo i dati della World Bank Group, la speranza di vita in Italia era, nel 2016, pari a 82,54 anni.
L’altro lato della medaglia, in questo caso, è il tasso di natalità, che vede invece un grafico opposto.
Insomma, la popolazione invecchia, e facciamo molti meno figli rispetto al passato.
Secondo le stime e le previsione dell’Istat, la popolazione residente attesa per l’Italia è stimata pari a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065.
La perdita rispetto al 2016 (60,7 milioni) sarebbe di 2,1 milioni di residenti nel 2045 e di 7 milioni nel 2065.
Nel 2065 la popolazione dovrebbe oscillare tra un minimo di 46,1 milioni e un massimo di 61,5.
A destare grande preoccupazione è, come accennato, il dato relativo alle future nascite, che non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi. Nel medio termine il saldo sarà negativo, con circa -300mila persone in meno.
Ad aumentare, invece, è l’aspettativa di vita. Entro il 2065 la vita media dovrebbe crescere fino a 86,1 anni per gli uomini e fino a 90,2 anni per le donne.
Tutto questo si traduce in due enormi criticità:
- avremo meno ricambio generazionale nei luoghi di lavoro, quindi meno occupati e più pensionati (per più a lungo);
- avremo una maggiore richiesta di servizi e prestazioni sanitarie.
Come si affronta tutto questo? Vediamo insieme alcune misure necessarie.
Quali misure adottare
Se la popolazione italiana vive sempre più a lungo, è necessario fare in modo che la qualità della vita migliori, soprattutto in età avanzata.
Un popolo in buona salute comporta costi più bassi per la sanità pubblica, in evidente difficoltà nonostante la qualità offerta continui ad essere elevata.
Le persone anziane, non autosufficienti, hanno bisogno di maggiori attenzioni e cure, e di una struttura sociale meglio organizzata ed efficace.
In questo senso, l’apporto del secondo pilastro socioeconomico, quindi dei Fondi di assistenza sanitaria integrativa, è centrale, per evitare che il SSN imploda a fronte di una domanda eccessiva.
Un altro elemento essenziale in questa sfida molto delicata che ci attende consiste nel migliorare la qualità della prevenzione, dell’educazione, dell’istruzione superiore, dell’alimentazione, stimolando e suggerendo stili di vita sostenibili e più salutari, soprattutto nei più giovani.