
La sepsi è una condizione clinica grave e potenzialmente letale che può colpire pazienti di qualsiasi età e in qualsiasi reparto ospedaliero. Consiste in una risposta sistemica ed esagerata dell’organismo a un’infezione, anche solo presunta, che finisce per danneggiare tessuti e organi, compromettendone la funzionalità.
Questa patologia è tutt’altro che rara. I dati epidemiologici, infatti, ne evidenziano un’incidenza elevata: nell’Unione Europea si registrano circa 1,4 milioni di casi all’anno, con un tasso di mortalità che varia tra il 20 e il 40%. Negli Stati Uniti, si stima che circa 200.000 pazienti all’anno sviluppino uno shock settico. A livello globale, sia l’incidenza che la mortalità per sepsi sono in costante aumento.
Essendo una patologia tempo-dipendente, la sepsi costituisce un’emergenza medica, al pari di condizioni come trauma, infarto miocardico, ictus e arresto cardiaco. La tempestività del trattamento è un fattore cruciale: basti pensare che ogni ora di ritardo nell’inizio aumenta il rischio di mortalità.
Per questo motivo, un riconoscimento precoce e l’avvio immediato di una terapia adeguata sono di vitale importanza. Tuttavia, diagnosticare la sepsi può rivelarsi complicato, a causa di una sintomatologia spesso subdola e di difficile interpretazione. Nonostante questa complessità, se la condizione viene identificata e curata rapidamente, il paziente può aspirare a un recupero totale e senza conseguenze a lungo termine.
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Che cos’è la sepsi?
Come accennato prima, la sepsi, anche nota come setticemia, è una condizione grave e potenzialmente mortale, che può colpire pazienti di qualsiasi età e in qualsiasi contesto di cura.
Essa si scatena quando la risposta dell’organismo a un’infezione, anche solo presunta, diventa incontrollata e dannosa.
Infatti, anziché combattere unicamente l’agente patogeno, questa reazione infiammatoria eccessiva finisce per danneggiare i tessuti e gli organi del corpo stesso, compromettendone la funzionalità e portando, senza un intervento immediato, alla morte.
Come funziona e perché è così pericolosa?
In condizioni normali, il sistema immunitario riesce a circoscrivere un’infezione all’area in cui si è sviluppata. Nella setticemia, invece, i microrganismi (solitamente batteri, più raramente funghi come la Candida o virus) si diffondono nel sangue, innescando una risposta immunitaria sistemica, ovvero estesa a tutto il corpo.
Questa reazione abnorme e lesiva provoca una riduzione dell’ossigenazione dei tessuti (ischemia), un danno cellulare diffuso e il rilascio di mediatori infiammatori che possono portare alla disfunzione di uno o più organi.
La causa del decesso nei pazienti con sepsi è proprio l’insufficienza d’organo, non l’infezione in sé; di conseguenza, maggiore è il numero di organi coinvolti, più alto è il rischio di mortalità.
Dalla spesi allo shock settico
La sepsi può seguire un percorso di aggravamento progressivo, evolvendo in forme più severe fino a raggiungere lo stadio di shock settico.
Quest’ultimo rappresenta la manifestazione più grave, caratterizzata da profonde alterazioni circolatorie, metaboliche e a livello dei tessuti. Nello specifico, la pressione arteriosa del paziente crolla a livelli critici (shock) che non rispondono alla somministrazione di fluidi, rendendo necessario l’uso di farmaci vasopressori per mantenerla.
In questa fase, l’insufficiente afflusso di sangue agli organi interni ne causa la disfunzione acuta, aumentando drasticamente il pericolo di vita.
Una delle complicanze che possono peggiorare l’esito della sepsi è il cosiddetto “diabete da stress”, una condizione di iperglicemia e insulino-resistenza la cui gravità è direttamente correlata al rischio di morte.
Quali sono le cause della sepsi?
La sepsi non è causata direttamente dall’infezione in sé, ma dalla reazione sproporzionata e caotica che l’organismo scatena per combatterla.
Il processo si articola fondamentalmente in due fasi:
- un’infezione iniziale;
- una risposta incontrollata del sistema immunitario.
Tutto ha origine da un’infezione localizzata, come una polmonite o un’infezione urinaria. Abbiamo spiegato che, in condizioni normali, il sistema immunitario riesce a contenere i patogeni nell’area colpita, mentre nella sepsi superano le difese locali e si riversano nel circolo sanguigno, diffondendosi in tutto il corpo e trasformando l’infezione da locale a sistemica. In alcuni casi specifici, come nella sindrome da shock tossico, la sepsi può essere innescata anche solo dalle tossine rilasciate dai batteri, senza che questi entrino necessariamente in circolo.
A questo punto si innesca il vero meccanismo distruttivo della sepsi: la risposta anomala dell’ospite.
Le tossine batteriche e la presenza stessa dei germi stimolano il sistema immunitario a rilasciare un’enorme quantità di sostanze infiammatorie, le citochine. Questa “tempesta citochinica”, anziché proteggere l’organismo, finisce per danneggiarlo, in quanto:
- provoca una dilatazione eccessiva dei vasi sanguigni, che causa un crollo della pressione arteriosa;
- innesca la formazione di piccoli coaguli che ostruiscono i vasi sanguigni più sottili, specialmente all’interno degli organi.
La combinazione di questi effetti riduce drasticamente l’apporto di sangue e ossigeno ai tessuti, portando a un danno cellulare che culmina nella disfunzione di uno o più organi.
Cause più comuni
Le infezioni che più frequentemente possono evolvere in sepsi sono le seguenti:
- polmonite;
- infezioni addominali (appendicite, peritonite, diverticolite, infezioni delle vie biliari);
- infezioni delle vie urinarie;
- infezioni della pelle o dei tessuti molli (cellulite, ascessi);
- infezioni conseguenti a interventi chirurgici;
- meningite ed encefalite;
- infezioni ossee (osteomielite) o delle valvole cardiache (endocardite).
In alcuni casi, la fonte dell’infezione può rimanere sconosciuta.
Chi è più a rischio?
Sebbene chiunque possa sviluppare la sepsi, alcuni fattori aumentano significativamente la vulnerabilità di una persona:
- età: anziani, neonati e bambini piccoli sono più esposti al rischio;
- sistema immunitario indebolito: a causa di patologie (tumori, HIV/AIDS, leucemia) o terapie (chemioterapia, corticosteroidi, farmaci immunosoppressori);
- malattie croniche: come diabete e cirrosi epatica;
- contesto ospedaliero: ricoveri recenti, specialmente in terapia intensiva, e l’uso di dispositivi medici invasivi (cateteri, tubi per la respirazione, drenaggi) che possono rappresentare una via d’ingresso per i batteri, le cosiddette Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) già trattate nel nostro blog;
- condizioni specifiche: gravidanza, presenza di protesi articolari o valvole cardiache artificiali, e uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa;
- fattori metabolici e genetici: una predisposizione genetica a una certa risposta infiammatoria e la presenza del succitato “diabete da stress” possono peggiorare l’esito della malattia.
Quali sono i sintomi della setticemia?
Quali sono i sintomi principali della sepsi e perché è così difficile riconoscerla precocemente?
I sintomi sono molteplici e riflettono il progressivo coinvolgimento dell’intero organismo, che può culminare nella disfunzione degli organi vitali.
Negli adulti, possono manifestarsi:
- alterazioni della temperatura corporea: la maggior parte dei pazienti manifesta febbre elevata (temperatura superiore a 38°C), ma alcuni possono presentare una temperatura corporea insolitamente bassa (ipotermia, inferiore a 36°C);
- brividi scuotenti e debolezza;
- aumento della frequenza cardiaca (tachicardia), spesso superiore a 90 battiti al minuto;
- aumento della frequenza respiratoria (tachipnea);
- alterazioni nella conta dei globuli bianchi, in eccesso o in difetto;
- iperglicemia in pazienti non diabetici;
- iniziale stato confusionale o agitazione e ridotta attività;
- pressione arteriosa che si abbassa (ipotensione), che può peggiorare fino allo shock settico;
- pelle calda e arrossata inizialmente, che può diventare fredda, pallida, a chiazze o cianotica con la progressione;
- ridotta produzione di urina (oliguria o anuria), con accumulo di prodotti di scarto nel sangue;
- difficoltà respiratorie;
- aumento dei livelli di lattato nel sangue, indicativo di insufficiente ossigenazione dei tessuti;
- possibili anomalie della coagulazione;
- nausea, vomito o diarrea;
- in alcuni casi, la sepsi può essere segnalata da sintomi come una glicemia superiore a 140 mg in assenza di diabete, o l’improvvisa insorgenza di ileo paralitico.
Nei bambini di età inferiore ai 5 anni, invece, possiamo riscontrare i seguenti sintomi:
- pelle fredda, pallida, bluastra o presenza di chiazze che non svaniscono alla pressione delle dita;
- grave sonnolenza o difficoltà a risvegliarsi (letargia);
- respiro accelerato o presenza di pause durante la respirazione (apnea);
- convulsioni;
- febbre molto alta (superiore a 38°C nei bambini sotto i 3 mesi, superiore a 39°C tra i 3 e i 6 mesi) o temperatura molto bassa (al di sotto dei 36°C);
- perdita di appetito nei neonati sotto i 12 mesi o rifiuto di bere liquidi per oltre 8 ore;
- vomito verde, color catrame o con sangue;
- rigidità della fontanella cranica nei neonati o occhi incavati;
- mancanza di interesse per qualsiasi attività;
- perdita del tono muscolare (il bambino appare flaccido);
- pianto debole, lamentoso o pianto ininterrotto nei bambini più piccoli.
Perché è così difficile riconoscerla in tempo?
Nonostante la sua gravità, la diagnosi precoce della sepsi è una delle sfide più complesse in medicina, per diverse ragioni:
- sintomi ingannevoli: il problema principale risiede nella natura stessa dei suoi sintomi iniziali, che sono spesso subdoli e aspecifici. Febbre, tachicardia o stato confusionale possono essere facilmente attribuiti a numerose altre condizioni meno gravi, ritardando il sospetto diagnostico;
- disfunzione d’organo “occulta”: a complicare ulteriormente il quadro, la disfunzione d’organo provocata dalla sepsi potrebbe non manifestarsi in modo evidente nelle prime fasi. È quindi fondamentale che il personale sanitario sospetti la sepsi di fronte a qualsiasi infezione o a un’insufficienza d’organo non altrimenti spiegata.
La sua natura ingannevole si scontra con la necessità di un intervento immediato. La sepsi è una corsa contro il tempo: ogni ora di ritardo nell’inizio della terapia antibiotica riduce la probabilità di sopravvivenza. È questa discrepanza tra la difficoltà di riconoscimento e l’urgenza del trattamento a renderla un’emergenza medica così temibile.
Cosa fare in caso di sepsi e shock settico?
In caso di sepsi o shock settico, la rapidità d’azione è tutto. La gestione del paziente richiede un ricovero ospedaliero immediato, quasi sempre in un reparto di Terapia Intensiva, e segue un protocollo rigoroso, descritto nel documento “La sepsi: riconoscimento precoce in Pronto Soccorso e gestione della fase iniziale nell’adulto”.
Vediamo, quindi, quali sono le fasi cruciali dell’intervento.
1. Riconoscimento precoce e attivazione del protocollo
La prima sfida è riconoscere la sepsi, i cui sintomi iniziali possono essere ingannevoli e poco specifici. Per questo si utilizzano strumenti di screening rapido come il qSOFA (Quick Sepsis Organ Failure Assessment), che valuta tre parametri chiave:
- alterazione dello stato di coscienza;
- pressione arteriosa bassa (sistolica ≤ 100 mmHg);
- respiro accelerato (≥ 22 atti/min).
Un punteggio qSOFA di 2 o più in un paziente con un’infezione sospetta è un forte campanello d’allarme che impone l’attivazione immediata del “Protocollo Sepsi”. Anche in assenza di questi criteri, il sospetto clinico basato su altri segni (come tachicardia severa, bassa saturazione di ossigeno o aspetto sofferente) è sufficiente per avviare le procedure di emergenza.

2. La “Golden Hour”: le azioni immediate da compiere
Le prime azioni, da compiere idealmente entro un’ora dal riconoscimento, seguono una logica precisa, spesso riassunta nella regola delle “3 da prendere” e “3 da dare”, che consiste nel valutare i tre parametri da attenzionare e le tre cose da fare nell’immediato.
Le 3 cose da prendere, o, più precisamente, da analizzare, sono le seguenti:
- emocolture: fondamentali per identificare il germe responsabile. Vengono prelevati due set di campioni da siti diversi, tassativamente prima di iniziare la terapia antibiotica;
- lattato ematico: un valore elevato di acido lattico nel sangue è un segno di sofferenza dei tessuti per mancanza di ossigeno e un importante indicatore della gravità della situazione;
- campioni e altri esami: si monitora la produzione di urina (spesso tramite catetere vescicale) e si preleva un pannello completo di esami del sangue per valutare la funzionalità degli organi (reni, fegato), lo stato di infiammazione (PCR, procalcitonina), la coagulazione e la glicemia.

Le 3 cose da dare, quindi da somministrare, sono:
- antibiotici per via endovenosa: è l’intervento più urgente. Una terapia antibiotica ad ampio spettro deve essere somministrata entro 60 minuti, subito dopo aver effettuato i prelievi per le colture. Una volta identificato il patogeno, si passerà a un antibiotico più mirato;
- liquidi per via endovenosa: per contrastare l’ipotensione e migliorare la perfusione degli organi, si infondono grandi quantità di fluidi (cristalloidi), monitorando attentamente la risposta del paziente per evitare un sovraccarico, specialmente nei soggetti più fragili;
- ossigeno: viene somministrato per supportare la respirazione e garantire un’adeguata ossigenazione del sangue. Nei casi più gravi, può essere necessaria la ventilazione meccanica.
3. Gestione avanzata e supporto agli organi
Se le prime misure non sono sufficienti a stabilizzare il paziente, si passa a interventi più avanzati, che comprendono:
- farmaci vasopressori: se la pressione arteriosa rimane pericolosamente bassa nonostante l’infusione di liquidi, si somministrano farmaci come la noradrenalina per restringerla e aumentare così la pressione;
- controllo della fonte dell’infezione: è cruciale eliminare la causa scatenante. Questo può significare drenare un ascesso, rimuovere un catetere infetto o eseguire un intervento chirurgico per asportare tessuti necrotici;
- supporto d’organo: a seconda degli organi coinvolti, possono essere necessarie terapie specifiche:
- controllo della glicemia: l’iperglicemia viene gestita con insulina;
- corticosteroidi: possono essere usati in alcuni casi di shock settico persistente;
- supporto renale: se i reni smettono di funzionare, si ricorre alla dialisi;
- nutrizione: si avvia precocemente un supporto nutrizionale, preferibilmente per via enterale.
La gestione della sepsi è un processo dinamico. Il paziente viene monitorato costantemente nei suoi parametri vitali (pressione, frequenza cardiaca, saturazione, diuresi) per valutare l’efficacia delle terapie e cogliere tempestivamente ogni segno di peggioramento. Questo approccio richiede una stretta collaborazione tra medici, infermieri e altri specialisti per ottimizzare ogni fase del trattamento.
Domande frequenti (FAQ)
La sepsi è una condizione potenzialmente letale causata da una risposta sregolata dell’organismo a un’infezione, che porta a una disfunzione d’organo. Non è l’infezione in sé a essere mortale, ma la reazione anomala del corpo ad essa. Questa risposta infiammatoria eccessiva danneggia tessuti e organi, compromettendone il funzionamento.
Lo shock settico è un sottogruppo di sepsi caratterizzato da gravi alterazioni circolatorie, tissutali e metaboliche, con una mortalità significativamente più elevata. Si identifica quando, nonostante l’adeguata somministrazione di liquidi, la pressione arteriosa media (MAP) rimane inferiore a 65 mmHg, richiedendo l’uso di farmaci vasopressori, e i livelli di lattato sono elevati (>2 mMol/L).
La sepsi è causata da un’infezione presente in qualsiasi parte del corpo, che porta alla diffusione dei microrganismi responsabili nel sangue, o a una risposta infiammatoria sistemica. Principalmente è provocata da batteri, ma più raramente può essere causata anche da virus o funghi. Le infezioni più comuni che possono scatenare la sepsi includono polmoniti, infezioni addominali o delle vie urinarie.
Il rischio di sepsi è maggiore nei neonati, bambini, anziani e nelle donne in gravidanza. Anche le persone con malattie croniche (come diabete, cirrosi), un sistema immunitario compromesso (a causa di malattie o farmaci immunosoppressivi) o coloro che hanno dispositivi medici invasivi (cateteri, drenaggi) o hanno subito interventi chirurgici recenti sono a rischio elevato.
I primi segni possono includere febbre o temperatura corporea molto bassa, brividi, debolezza, battito cardiaco accelerato e respirazione rapida. Con il peggioramento, possono comparire confusione mentale, ridotta produzione di urina e abbassamento della pressione arteriosa. La pelle può diventare fredda, pallida o a chiazze, e la respirazione molto difficile.
La sepsi viene sospettata in base alla sintomatologia in presenza di un’infezione. La diagnosi è confermata dalla ricerca di batteri in campioni di sangue o altri liquidi corporei (emocolture) e da esami del sangue che rivelano un danno d’organo, come l’aumento dei livelli di lattato. Il qSOFA e il SOFA score sono strumenti chiave per identificare la disfunzione d’organo e il rischio prognostico.
La sepsi è un’emergenza medica che richiede un ricovero ospedaliero immediato, spesso in terapia intensiva. Il trattamento comprende la somministrazione immediata di antibiotici ad ampio spettro (preferibilmente entro 60 minuti dal prelievo delle colture), liquidi per via endovenosa e ossigeno. È fondamentale identificare e trattare la fonte dell’infezione.
La sepsi ha un tasso di mortalità molto elevato, specialmente se progredisce a shock settico (40-70%). Tuttavia, un riconoscimento precoce e un trattamento tempestivo e adeguato migliorano significativamente le possibilità di sopravvivenza. Anche con il trattamento, circa il 30-40% dei soggetti può non sopravvivere. Alcuni sopravvissuti possono manifestare la sindrome post-sepsi, con disturbi a lungo termine.
La sepsi è una patologia tempo-dipendente, al pari di un infarto miocardico o un ictus. Ogni ora di ritardo nell’inizio della terapia antibiotica può ridurre la sopravvivenza del 7,6%. Un’identificazione rapida e un trattamento immediato sono cruciali per migliorare l’esito dei pazienti e ridurre la mortalità.
La precedente definizione di sepsi (Sepsis-2, del 1992) si basava sul concetto di Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS) associata a un’infezione. La nuova definizione (Sepsis-3, del 2016) ha superato il concetto di SIRS, concentrandosi sulla disfunzione d’organo con pericolo per la vita causata da una risposta disregolata dell’ospite all’infezione, considerando la disfunzione d’organo il fattore critico.
Il qSOFA (quick SOFA) è uno score semplice che valuta tre parametri (alterazione dello stato di coscienza, pressione arteriosa sistolica ≤ 100 mmHg, frequenza respiratoria ≥ 22 atti/min) per identificare rapidamente i pazienti con sospetta infezione a maggior rischio di prognosi infausta. Un qSOFA positivo (≥2) è un campanello d’allarme che suggerisce la necessità di calcolare immediatamente il SOFA score. Il SOFA (Sequential Organ Failure Assessment) è uno score più completo che valuta il grado di disfunzione d’organo e conferma la diagnosi di sepsi quando è uguale o maggiore a 2 in presenza di infezione.