In occasione della Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo di sale intendiamo analizzare perché e come seguire le raccomandazioni OMS. Intro.
È iniziata il 9 marzo la “Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo alimentare di sale”, una campagna istituita dall’associazione World Action on Salt & Health (WASH), alla quale aderiscono circa 100 Paesi nel mondo, che proseguirà fino al giorno 15.
Nata nel 2005, l’associazione WASH persegue un obiettivo di primaria importanza per la salute degli abitanti di tutto il Pianeta, ovvero ridurre l’assunzione di sale giornaliera a meno di 5 grammi, come raccomandato da anni dall’OMS.
Si tratta di una battaglia molto complessa, perché purtroppo l’azione di ognuno di noi nel modificare le proprie abitudini alimentari non è sufficiente.
Approfondiamo insieme.
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Il 60-80% del sale consumato non è aggiunto durante la cottura dei cibi
Questo dato, fornito dall’OMS e ripreso dall’associazione WASH e dal Ministero della Salute, è fortemente indicativo di quanto sia complesso raggiungere l’obiettivo di riduzione del consumo di sale.
In effetti, il sale che consumiamo ogni giorno non proviene solo dal condimento aggiunto da noi durante la preparazione di un cibo o a tavola – pensiamo al sale aggiunto a un’insalata – anzi, il nostro apporto è minimo.
Certo, ridurre questa quantità è senza dubbio importante, e va fatto, ma non basta.
Il ruolo principale in questo processo è svolto, in parte, dalla ristorazione, ma principalmente dall’industria alimentare, che non rispetta questi parametri e, come suggerisce il tema della campagna del 2020, gioca a “nascondino”.
L’industria alimentare gioca a nascondino con il sale
Come accennato, il tema della “Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo alimentare di sale” 2020 è “Nascondino” (in inglese Hide and Seek).
Cosa ha voluto suggerire l’associazione WASH con questo termine? Lo spiega molto chiaramente sul sito ufficiale:
“Non è giusto che l’industria alimentare sia in grado di “nascondere” così tanto sale nei nostri alimenti e la responsabilità di una vita più sana ricade ingiustamente al pubblico a “cercare” opzioni di sale più basse.”
L’importanza di ridurre il consumo di sale – alla base di malattie croniche come l’ipertensione e altre patologie cardiovascolari e causa di circa 2,5 milioni di decessi all’anno – è nota a tutti, ma il nostro contributo come cittadini è molto limitato.
In effetti, il sale viene anche aggiunto a tanti altri prodotti come pane, cereali per la colazione, torte, biscotti e salse, e spesso non lo sappiamo.
Quando si mangia in un ristorante è impossibile sapere quanto sale c’è nel cibo, perché gli chef aggiungono un diverso livello di condimento ogni volta che cucinano un piatto.
Per questo motivo l’edizione 2020 della “Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo alimentare di sale” mira a sensibilizzare l’industria alimentare e il settore della ristorazione e a incoraggiare i Governi e i professionisti della salute a favorire una maggiore consapevolezza sui benefici di un ridotto consumo di sale e di una dieta iposodica.
Non esiste solo il sale da cucina
Purtroppo, quando si parla di consumo di sale la nostra mente è portata a pensare solo al classico sale da cucina, quello fino o grosso per intenderci.
Si tratta di un errore molto diffuso, e comprensibile, ma la mancanza di conoscenza ci danneggia fortemente. Capita lo stesso con i pazienti affetti da diabete, che magari evitano lo zucchero nel caffè ma mangiano pane e pasta.
Il sale è presente all’interno di moltissimi cibi industriali e trasformati, anche in quelli ai quali non pensiamo.
Ad esempio, se utilizzi legumi in barattolo in alternativa a quelli freschi o secchi, devi sapere che sono conservati in acqua salata.
Non a caso una delle raccomandazioni è di sciacquare i legumi prima di cuocerli o consumarli.
Lo stesso discorso si applica ai formaggi, ai prodotti confezionati, ai salumi, alle salse da condimento e così via.
Secondo le stime, la quantità di 5 grammi al giorno al di sotto della quale è consigliato mantenersi comprende anche 2-3 grammi nascosti all’interno dei prodotti industriali.
Questo vuol dire che noi, a casa, nelle nostre preparazioni quotidiane, dovremmo limitarci a circa 2 grammi di sale aggiunto.
Purtroppo, è dimostrato che consumiamo molto più sale della dose consigliata, con enormi ricadute sulla nostra salute.
Luoghi comuni e informazioni scorrette sul consumo di sale
L’OMS porta avanti questa battaglia a favore della riduzione del consumo di sale da diversi anni, sensibilizzando gli enti preposti e la popolazione.
Sul sito ufficiale, ad esempio, si trova un elenco di luoghi comuni e informazioni errate sul consumo di sale da estirpare dalle nostre convinzioni.
Lo riportiamo di seguito:
- “In una giornata calda e umida, quando si suda, è necessario più sale nella dieta”: in realtà la perdita di sale attraverso il sudore è minima, quindi non è necessario integrarlo. È sufficiente, e importante, bere molta acqua.
- “Il sale marino non è migliore del sale prodotto industrialmente semplicemente perché è “naturale”: indipendentemente dalla fonte di sale, è il sodio presente nel sale che causa conseguenze negative sulla salute.
- “Il sale aggiunto durante la cottura non è la principale fonte di assunzione di sale”: come spiegato nell’articolo, in molti Paesi circa l’80% del sale nella dieta proviene da alimenti trasformati.
- “Il cibo non ha bisogno di sale per avere un sapore accattivante”: ci vuole del tempo affinché le papille gustative si adattino, ma una volta che si abituano a meno sale, è più probabile che si godano maggiormente il cibo e si noti una gamma più ampia di sapori.
- “Il cibo non ha sapore senza sale”: anche se questo può essere vero all’inizio, le papille gustative si abituano presto a meno sale e è più probabile che ti piaccia il cibo con meno sale e più sapore.
- “Gli alimenti ricchi di sale hanno un sapore salato”: in realtà alcuni alimenti ad alto contenuto di sale non hanno un sapore molto salato, perché spesso sono mescolati con altre cose, come gli zuccheri, che ne mascherano il gusto. È importante leggere le etichette degli alimenti per scoprire i livelli di sodio.
- “Solo gli anziani devono preoccuparsi di quanto sale mangiano”: mangiare troppo sale può aumentare la pressione sanguigna a qualsiasi età.
- “Ridurre il sale potrebbe essere dannoso per la mia salute”: È molto difficile mangiare troppo poco sale, poiché ci sono così tanti cibi quotidiani contenenti sale.
Come vedi, ci sono alcune convinzioni molto diffuse, basate però su informazioni errate o, semplicemente, sulle nostre abitudini alimentari, che è importante correggere.
Cosa possiamo fare individualmente per ridurre il consumo di sale
A questa domanda rispondono direttamente l’associazione WASH e il Ministero della Salute, attraverso un contenuto pubblicato sul sito ufficiale (lo trovi qui).
- Leggiamo attentamente l’etichetta nutrizionale per scegliere, in ciascuna categoria, i prodotti a minore contenuto di sale e cercare i prodotti a basso contenuto di sale, cioè inferiore a 0.3 grammi per 100 g (corrispondenti a 0.12 g di sodio).
- Riduciamo l’uso di sale aggiunto in cucina, preferendo comunque, ove necessario, minime quantità di sale iodato.
- Limitiamo l’uso di altri condimenti contenenti sodio (dadi da brodo, maionese, salse, ecc.) e utilizziamo in alternativa spezie, erbe aromatiche, succo di limone o aceto per insaporire ed esaltare il sapore dei cibi.
- Non portiamo in tavola sale o salse salate, in modo che non si acquisisca l’abitudine di aggiungere sale sui cibi, soprattutto tra i più giovani della famiglia.
- Riduciamo il consumo di alimenti trasformati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, alcuni salumi e formaggi, cibi in scatola).
- Scoliamo e risciacquiamo verdure e legumi in scatola, prima di consumarli.
- Evitiamo l’aggiunta di sale nelle pappe dei bambini, almeno per il primo anno di vita.
Si tratta di suggerimenti di buon senso, che potrebbero, se seguiti alla lettera, migliorare sensibilmente la nostra salute e, cosa importantissima, ridurre il rischio di incorrere in patologie croniche anche gravi.