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Differenza tra metodo retributivo e contributivo per la pensione

metodo retributivo e metodo contributivo

Il sistema previdenziale italiano è molto complesso, non a caso occupa uno spazio fisso nel dibattito politico e sociale.

Al centro della discussione, da alcuni anni, è il metodo di calcolo della pensione.

In Italia possiamo dividere la questione in due metodologie:

  1. metodo retributivo;
  2. metodo contributivo.

Prima di approfondire l’argomento, molto ostico, riteniamo opportuno fare un attimo chiarezza sul significato dei due termini, retributivo e contributivo.

Semplificando al massimo, si intende con metodo retributivo il calcolo dell’assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni, mentre con metodo contributivo si tiene in considerazione l’ammontare dei contributi effettivamente versati.

Fatta questa necessaria precisazione, vediamo insieme qual è la differenza tra metodo retributivo e contributivo.

In cosa consiste il metodo retributivo per la pensione

Il sistema retributivo per il calcolo della pensione si basa su tre elementi:

  1. anzianità contributiva, quindi gli anni di contributi versati;
  2. la retribuzione e/o il reddito;
  3. un’aliquota di rendimento, pari al 2% del reddito medio annuo.

Per calcolare la pensione con il metodo contributivo, quindi, basta fare una semplice operazione:

2% di € 30.000 (ipotesi di reddito medio annuo) x 40 (ipotesi di anzianità contributiva) = € 24.000

Entrando più nel dettaglio, è necessario dire che il sistema di calcolo si divide in due modalità, definite quote:

  1. quota A: anzianità contributiva al 31-12-1992, media dei redditi degli ultimi 5 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 10 per i lavoratori autonomi;
  2. quota B: anzianità contributiva dal 1-1-1993, media dei redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 per i lavoratori autonomi.

In cosa consiste il metodo contributivo per la pensione

Il metodo contributivo si basa, come suggerisce la parola, sui contributi versati dal lavoratore.

Ai fini del calcolo della pensione è necessario:

  1. individuare la retribuzione annua dei dipendenti e il reddito annuo degli autonomi;
  2. calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell’aliquota vigente;
  3. determinare il montante individuale: si tratta della somma dei contributi annui versati rivalutati secondo i parametri ISTAT;
  4. applicare il coefficiente di trasformazione, che varia a seconda dell’età del lavoratore.

Il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo con la riforma Dini

La riforma delle pensioni approvata dall’allora governo presieduto da Lamberto Dini nel 1995 rappresenta un importante spartiacque per il sistema previdenziale italiano.

Fino a quel momento, infatti, la pensione veniva calcolata con il metodo retributivo, ovvero prendendo come riferimento l’importo della retribuzione del lavoratore nella parte finale della sua vita lavorativa – e altri elementi a cui abbiamo accennato prima.

Si trattava, all’epoca, di un metodo molto vantaggioso per i lavoratori, perché tendenzialmente il salario tende ad aumentare nel corso degli anni, raggiungendo una somma più alta rispetto a quella iniziale.

In questo modo, anche se per buona parte della loro vita lavorativa avevano percepito uno stipendio medio, uno scatto di anzianità o una promozione negli ultimi anni di lavoro garantiva loro una pensione più elevata.

Purtroppo, il sistema previdenziale italiano non poteva, già all’epoca, continuare ad erogare pensioni non proporzionali al valore dei contributi versati, così con la Riforma Dini si avviò un processo di passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo.

Come funzionava la Riforma Dini?

Prendendo come data di riferimento il 31 dicembre del 1995, si introdusse un sistema misto, così strutturato:

  • per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31-12-1995, si continuava ad applicare il metodo retributivo;
  • per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi si applicava un criterio misto: retributivo fino al 1995 e contributivo per gli anni successivi;
  • per i nuovi assunti dal primo gennaio 1996, si applicava invece il solo criterio contributivo.

Un’altra grande svolta della riforma Dini è stata la “divisione” della previdenza italiana in due pilastri:

Nel tentativo di sostenere le finanze e la stabilità degli enti previdenziali, la Riforma Dini generò, di fatto, un trattamento iniquo nei confronti dei lavoratori, che a parità di contributi versati si vedevano assegnate indennità di pensione differenti.

Questo fino all’approvazione della Riforma Fornero del 2011.

Cosa cambia con la Riforma Fornero

La riforma delle pensioni Fornero del 2011 ha predisposto numerose modifiche al sistema previdenziale italiano, segnando il passaggio definitivo dal metodo retributivo a quello contributivo.

Infatti, con l’approvazione della riforma da parte del Governo Monti, si estese il calcolo contributivo anche a chi era stato “graziato” dalla Riforma Dini, ovvero a tutti quelli che, al 31 dicembre 1995, avevano almeno 18 anni di anzianità di lavoro.

A partire dal 1° gennaio 2012 il metodo contributivo è diventato l’unico metodo di calcolo per la prestazione pensionistica.

Conclusioni

Come vedi, il calcolo della pensione è un argomento molto complesso, che noi abbiamo cercato di semplificare senza scendere in tecnicismi che non ci competono.

Volendo, puoi effettuare una simulazione della tua pensione attraverso il servizio messo a disposizione dall’INPS o puoi rivolgerti alle strutture del tuo sindacato di riferimento.

Per utilizzare il servizio on Line INPS, è sufficiente accedere al portale utilizzando le tue credenziali e cliccare qui.

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