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Cosa s’intende per pensioni d’oro

pensioni d'oro

L’agenda politica degli ultimi anni, ed in particolare del governo in carica, ruota intorno ad alcuni temi centrali, trasversali all’arco parlamentare, utilizzati in campagna elettorale e durante la legislatura.

Una di queste tematiche è quella comunemente nota come “pensioni d’oro”, ovvero tutti quei trattamenti pensionistici superiori ad una certa soglia mensile, ritenuti eccessivi in relazione ai contributi versati e alla media delle pensioni generali del nostro Paese.

Il tema delle pensioni d’oro viene trattato in modo diffuso ogni giorno dalle principali fonti d’informazione, facendo seguito alle ultime dichiarazioni in merito da parte di esponenti di governo, parlamentari e/o figure di rilievo politico.

Una semplice ricerca su Google, ad esempio, restituisce centinaia di contenuti correlati a questo argomento, spesso però trattato in modo superficiale o strumentale.

Nel nostro blog abbiamo più volte dedicato articoli al sistema previdenziale italiano, soffermandoci ad esempio sul pensionamento anticipato, sui fondi pensione, sui piani individuali pensionistici e così via, ecco perché riteniamo utile spendere qualche parola anche sull’annosa questione delle pensioni d’oro.  

Cosa sono le pensioni d’oro

Per meglio comprendere la complessità dell’argomento la prima cosa da fare è fornire una definizione, chiara e semplice, del concetto di pensioni d’oro.

Per pensione d’oro si intende un assegno previdenziale di importo particolarmente elevato, almeno sopra i 2.500-3.000 euro mensili.

Non vengono comunemente considerati pensioni d’oro, o almeno non dovrebbero, quegli assegni pensionistici maturati con il metodo contributivo.

Non si tratta di cifre da capogiro, e proprio su queste il dibattito nel corso del tempo si è fatto sempre più complesso.

Alcune parti politiche suggeriscono una cifra di circa 5 mila euro lordi, altri propongono invece di abbassare il tetto a 4 mila euro lordi, anche per riuscire, da un loro taglio, a ottenere un risparmio per le casse dell’Inps più consistente da reinvestire, nelle intenzioni dei proponenti, nell’aumento delle pensioni minime.

Quante sono le pensioni d’oro in Italia

Quante sono le pensioni d’oro in Italia? Per rispondere a questa domanda è utile indicare a quanto ammonta la spesa previdenziale nel nostro Paese.

Secondo l’ultimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano realizzato da Itinerari Previdenziali, la spesa totale per pensioni è ammontata nel 2016 a 253,731 miliardi di euro, così suddivisa:

spesa previdenziale italiana

Di queste, quante sono da considerare pensioni d’oro?

Sempre secondo il succitato rapporto, i pensionati italiani che guadagnano più di 5mila euro lordi al mese sono all’incirca 199 mila e costano allo Stato italiano oltre 17 miliardi di euro all’anno.

Si tratta di una cifra importante, ma se prendiamo come campione i pensionati che ricevono un assegno mensile di 5 mila euro netti e non lordi al mese, allora la platea si restringe a circa 1/10, ovvero circa 10 mila persone per un totale di spesa di 1,8 miliardi.

1,8 miliardi di euro non è affatto una spesa irrilevante, ma non consentirebbe una rivoluzione del sistema previdenziale né una soluzione ai problemi di spesa del Paese.

Va anche considerato che, quando entreranno a regime le pensioni calcolate unicamente con il criterio contributivo, queste non dovrebbero in nessun caso rientrare in alcun parametro di riduzione.

In questo modo i possibili risparmi che si otterrebbero, quand’anche fosse possibile tagliare le cosiddette pensioni d’oro, si andranno con il tempo riducendo.

Ciò che auspicano i promotori del taglio delle pensioni d’oro, però, è un’azione di equità sociale realizzabile, comunque, solo se i risparmi realizzati verranno ridistribuiti esclusivamente verso i redditi pensionistici  delle fasce meno abbienti.

Pensioni d’oro: il concetto di “diritti acquisiti”

A rendere più complessa la questione delle pensioni d’oro concorrono due problemi.

Il primo è legato al cosiddetto concetto dei “diritti acquisiti”, secondo il quale non si può negare ad un cittadino di usufruire di un diritto – in questo caso un assegno previdenziale – acquisito nel rispetto delle normative vigenti in passato.

Ad esempio, chi ha maturato la pensione con il vecchio sistema retributivo – secondo molti ritenuto iniquo e sostituito con la Riforma Fornero – non può vedersela decurtare calcolandola con l’attuale sistema contributivo.

Uno stravolgimento del principio dei diritti acquisiti in campo previdenziale, secondo molti, potrebbe costituire un’apertura perigliosa per successivi interventi con effetti retroattivi sui diritti dei pensionati.

Il secondo problema è relativo, invece, al principio di costituzionalità legato al cosiddetto contributo di solidarietà.

Pensioni d’oro: il contributo di solidarietà

Nel 2011, dall’allora Governo Berlusconi, fu introdotto il cosiddetto “contributo di solidarietà”, ovvero un prelievo sulle pensioni d’oro superiori ai 90 mila euro all’anno fino al 31 dicembre 2014, che partiva dal 5% fino a 150mila euro e saliva al 10% per le pensioni tra 150mila e 200mila euro e al 15% per i trattamenti superiori ai 200mila euro.

In poche parole, chi usufruiva di un assegno previdenziale superiore ai 90 mila euro all’anno doveva “versare” una quota anche consistente come contributo di solidarietà nei confronti delle fasce meno abbienti, quindi i pensionati con la pensione minima.

Questo contributo di solidarietà fu ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel 2013, perché iniquo e discriminatorio, con la sentenza 116/2013.

Paradossalmente, nel 2014 il governo Letta reintrodusse il contributo di solidarietà con delle modifiche, ricevendo un parere opposto dalla Corte Costituzionale nel 2016, con la Sentenza 173/2016 del 5/7/2016.

Questo quanto dichiarato attraverso un comunicato stampa dalla Corte Costituzionale:

“La Corte costituzionale ha respinto le varie questioni di costituzionalità relative al contributo, che scade nel dicembre 2016, sulle pensioni di importo più elevato, escludendone la natura tributaria e ritenendo che si tratti di un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema. La Corte ha anche ritenuto che tale contributo rispetti il principio di progressività e, pur comportando innegabilmente un sacrificio sui pensionati colpiti, sia comunque sostenibile in quanto applicato solo sulle pensioni più elevate, da 14 a oltre 30 volte superiori alle pensioni minime.”

Conclusioni

Come vedi, il tema delle pensioni d’oro è molto complesso, perché si scontra con numerose difficoltà, dal semplice calcolo effettivo dei pensionati con assegni superiori ad una certa somma alla definizione stessa di questa somma, dal risparmio ottenuto dal taglio alla ridistribuzione dei redditi.

Il tutto in un contesto di protezione dei diritti dei lavoratori presenti e passati.

A questo va aggiunta la difficile bagarre politica relativa alle pensioni d’oro e al rischio di illegittimità costituzionale delle proposte future.

Insomma, è un terreno scivoloso sul quale giocare la partita.

Augusto Monachesi

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