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Quanto dura la protezione del vaccino contro la COVID-19?

Quanto dura la protezione del vaccino contro la COVID-19

Dopo essersi vaccinati contro la COVID-19, per quanto tempo si è protetti da infezione, ricovero e decesso? Lo spiega l’Istituto Superiore di Sanità in un recente rapporto. Approfondiamo insieme. Intro. 

Una delle domande più diffuse dall’avvio delle varie campagne vaccinali nel mondo riguarda la durata delle protezione del vaccino contro la COVID-19

In poche parole, per quanto tempo chi si vaccina è protetto da infezione, rischio ricovero e decesso da Sars-CoV-2

Com’è noto, in una fase iniziale ci si poteva basare solo sui dati rilevati durante i trial clinici svolti dai produttori dei vaccini approvati e attualmente utilizzati, ma sappiamo benissimo che l’applicazione nel “mondo reale” consente di acquisire tantissime informazioni aggiuntive, sia sugli eventi avversi degli stessi – un esempio è quanto accaduto con il vaccino di AstraZeneca – sia sulla durata della protezione

Ora, essendo passati molti mesi dalle prime somministrazioni, gli enti preposti sono in possesso di dati molto più approfonditi e strutturati, che ci consentono di rispondere ad alcune domande

  • Quanto dura la protezione del vaccino? 
  • Quali sono i soggetti più vulnerabili? 
  • Cos’è cambiato con la prevalenza della variante Delta?

A queste domande ha risposto l’Istituto Superiore di Sanità in un rapporto pubblicato lo scorso 6 ottobre. Vediamo insieme cos’è emerso dall’analisi dei dati disponibili. 

Informazioni sullo studio

Il rapporto “Impatto della vaccinazione COVID-19 sul rischio di infezione da SARS-CoV-2 e successivo ricovero e decesso in Italia” redatto dall’ISS ha lo scopo di 

“fornire una stima del rischio di COVID-19 (comprendendo sia i casi sintomatici che quelli asintomatici) e di successivo ricovero, ricovero in un’unità di terapia intensiva e decesso, a diversi intervalli di tempo dalla vaccinazione, in individui completamente vaccinati in Italia con vaccini a mRNA.” 

Lo studio riguarda oltre 29 milioni di persone, pari a più del 56% della popolazione italiana di età ≥16 anni, che hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino mRNA COVID-19 (Comirnaty o Spikevax) entro la metà di agosto e che sono stati seguiti fino al 29 agosto 2021 (al fine di comprendere i 14 giorni di attesa dalla somministrazione). 

Il rischio di una diagnosi di COVID-19 viene valutato fino a sette mesi dalla prima dose di vaccino, mentre il rischio di una diagnosi con successivo ricovero, ricovero in terapia intensiva o decesso è valutato per un periodo fino a sei mesi dalla prima dose di vaccino.

Dopo 7 mesi dalla seconda dose, sulla popolazione generale, non si osserva una riduzione significativa di efficacia in termini di protezione dall’infezione (sintomatica o asintomatica), che rimane dell’89%

Anche contro il ricovero e il decesso la protezione resta elevata (96% e 99%) a sei mesi dalla seconda dose.

Quali sono i soggetti più vulnerabili? 

Quando è stata avviata la campagna vaccinale nel nostro Paese si è data priorità ad alcune categorie, tra cui il personale sanitario, gli over 80 e il personale e gli ospiti delle RSA, per poi coinvolgere i soggetti immunodepressi e quelli cosiddetti fragili, ovvero con altre patologie che aumentano il rischio di complicanze da COVID-19. 

Escludendo il personale sanitario, sono proprio queste categorie di soggetti a risultare, oggi, più vulnerabili a una infezione, ricovero o decesso

Infatti, secondo i dati raccolti da ISS: 

  • negli individui vaccinati immunocompromessi è stata osservata una riduzione dell’effetto protettivo della vaccinazione contro qualsiasi diagnosi di COVID-19 a partire da 28 giorni dopo la seconda dose;
  • è stata osservata una riduzione dell’effetto protettivo della vaccinazione in individui affetti da comorbidità, nei quali l’efficacia vaccinale contro qualsiasi diagnosi di COVID-19 (sintomatica o asintomatica) è passata dal 75% a 28 giorni dopo la seconda dose al 52% dopo 141-224 giorni;
  • è stato anche osservato un leggero aumento del rischio di qualsiasi diagnosi tra gli individui di età ≥80 anni e tra gli ospiti delle case di cura dopo circa 6 mesi dalla seconda dose; tuttavia, l’efficacia vaccinale è rimasta superiore all’80% a circa 7 mesi dopo la seconda dose.

Questi dati confermano, tra l’altro, le ragioni alla base delle decisioni prese da AIFA e CTS in merito alla platea a cui somministrare una terza dose del vaccino (o dose booster)

Cos’è cambiato con la prevalenza della variante Delta?

All’inizio della campagna vaccinale la variante prevalente nel nostro Paese era la variante Alfa, altrimenti nota come variante inglese, mentre nei mesi di luglio e agosto si è registrata una prevalenza della variante Delta, o variante indiana. 

Questo ha avuto degli effetti sulla protezione del vaccino contro la COVID-19? 

Ecco cosa dicono i dati: 

  • l’analisi stratificata per fase epidemica ha mostrato che l’efficacia vaccinale nel prevenire qualsiasi diagnosi sintomatica o asintomatica di COVID-19 in persone completamente vaccinate (>14 giorni dalla seconda dose) è diminuita dall’84,8% nel periodo dal 27/12/2020 al 13/6/2021 (caratterizzato dalla predominanza del variante alfa) al 67,1% nel periodo dal 19/7/2021 al 29/8/2021 (caratterizzato dalla predominanza della variante delta);
  • l’efficacia vaccinale nel prevenire la diagnosi con successivo ricovero rimane elevata: 91,7% durante la “fase alfa” e 88,7% durante la “fase delta” . Tuttavia, queste stime mancano di precisione e necessitano di maggiori dati di follow-up per una valutazione adeguata.

Cosa vuol dire? 

Che con la diffusione della variante Delta si è registrato un calo rilevante nella protezione dall’infezione, mentre è rimasta molto elevata (quasi sovrapponibile) quella contro lo sviluppo di sintomi gravi e il conseguente rischio di ricovero e di morte da COVID-19.

“la diminuzione dell’efficacia verso qualsiasi diagnosi di COVID-19, osservata durante la “fase delta”, può essere dovuta al calo dell’immunità protettiva dei vaccini o all’evasione immunitaria da parte del virus variante. Anche i fattori comportamentali possono aver contribuito a influenzare quanto osservato.”

Insomma, l’aumento delle infezioni potrebbe essere frutto non solo della diffusione della nuova variante e della perdita di efficacia del vaccino, ma anche dell’allentamento delle misure di prevenzione

Conclusioni

Da questi dati raccolti, elaborati e diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, dovremmo trarre un insegnamento

In effetti, le evidenze dimostrano che il vaccino ci protegge dallo sviluppo di sintomi gravi, dal ricovero e dal decesso, ma dobbiamo continuare a seguire le regole di comportamento individuale e collettivo necessari a ridurre il rischio di contagio e infezione

Invitiamo a consultare il rapporto integrale per maggiori dettagli e informazioni. 

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.

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