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Cosa prevedono i nuovi criteri di diagnosi COVID del Ministero della Salute

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Cosa cambia nella diagnosi di COVID-19 con le nuove linee guida del Ministero della Salute? Quali sono i nuovi criteri? Scopriamolo insieme.Intro. 

Lo scorso 8 gennaio il Ministero della Salute ha pubblicato un documento avente come oggetto “Aggiornamento della definizione di caso COVID-19 e strategie di testing”

Questo documento contiene alcune novità rispetto alle linee guida finora seguite, in particolare per riguardo l’impiego dei test antigenici rapidi, seguendo le recenti indicazioni fornite dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC)

“Considerando l’evoluzione della situazione epidemiologica, le nuove evidenze scientifiche e le indicazioni pubblicate dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie(ECDC)1,2, si forniscono aggiornamenti sulla definizione di caso ai fini della sorveglianza e sulla strategia di testing e screening che sostituiscono rispettivamente le indicazioni contenute nelle circolari N. 7922 del 09/03/2020 “COVID-19. Aggiornamento della definizione di caso” e N. 35324 del 30/10/2020 “Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica””

Scopriamo insieme il contenuto del nuovo aggiornamento

Come si definisce un caso COVID-19

La definizione di un caso di COVID-19 avviene attraverso 4 criteri, che indichiamo di seguito: 

  • Criteri clinici, in presenza di almeno uno dei seguenti sintomi: tosse, febbre, dispnea (fatica a respirare), esordio acuto di anosmia, ageusia o disgeusia (perdita o alterazione del senso dell’olfatto e del gusto). Altri sintomi meno specifici possono includere cefalea, brividi, mialgia (dolori muscolari), astenia (debolezza, stanchezza, perdita di energia), vomito e/o diarrea. 
  • Criteri radiologici, in presenza di un quadro radiologico compatibile con COVID-19. Ad esempio, in caso di compromissione polmonare, è possibile individuarla anche tramite una radiografia dell’addome.
  • Criteri di laboratorio: rilevamento del genoma virale del SARS-COV-2 tramite Tampone Molecolare o dell’antigene tramite Test Antigenico Rapido.
  • Criteri epidemiologici, in caso di presenza di almeno uno dei due seguenti link epidemiologici:
    • contatto stretto con un caso confermato COVID-19 nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi; se il caso non presenta sintomi, si definisce contatto una persona che ha avuto contatti con il caso indice in un arco di tempo che va da 48 ore prima della raccolta del campione che ha portato alla conferma e fino a 14 giorni dopo o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento del caso;
    • essere residente/operatore, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi, in contesti sanitari (ospedalieri e territoriali) e socio assistenziali/sociosanitari quali RSA, lungodegenze, comunità chiuse o semichiuse (ad es. carceri, centri di accoglienza per migranti), in cui vi sia trasmissione di SARS-CoV-2. 

In aggiunta a questi criteri, il documento riporta anche la classificazione dei casi in:

  • Caso Possibile: una persona che soddisfi i criteri clinici;
  • Caso Probabile: una persona che soddisfi i criteri clinici con un link epidemiologico, oppure una persona che soddisfi i criteri radiologici;
  • Caso confermato: una persona che soddisfi il criterio di laboratorio.

Novità in merito ai Test Rapidi Antigenici

In questi lunghi mesi si è molto dibattuto sull’utilità dei cosiddetti test antigenici rapidi, ovvero quei test che si differenziano dai tamponi molecolari in quanto non individuano la presenza del genoma virale ma gli antigeni, ovvero le proteine del virus che il nostro sistema immunitario riconosce come agenti esterni. 

Si tratta delle ormai famose proteine Spike – dall’inglese punta o chiodo – che danno la forma caratteristica al SARS-COV-2 e, più in generale, ai virus della famiglia dei coronavirus. Per capirci, queste proteine sono tutti quegli spuntoni che formano la “corona” del virus.

coronavirus

Nel ribadire come il test molecolare continui a rappresentare il gold standard per l’individuazione del virus in termini di sensibilità e specificità, nel documento si legge anche che

“I test [antigenici rapidi, ndr.] di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura in microfluidica) sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di RT-PCR”.

I tempi di lettura dell’esame sono brevi, ma la sensibilità e specificità dei test tendono a essere inferiori a quelli del test molecolare e variano in funzione del momento di prelievo del campione. 

Detto questo, a determinate condizioni, per ottenere una risposta rapida e/o estendere lo screening a comunità ampie, “si raccomanda il ricorso a test antigenici rapidi che abbiano i seguenti requisiti minimi di performance: ≥80% di sensibilità e ≥97% di specificità”. 

A questo punto, però, forse è il caso di spiegare due concetti presenti nel documento del Ministero, che influenzano il modo in cui vanno utilizzati i test antigenici rapidi. 

Alta o bassa prevalenza: PPV o NPV

Nel documento, subito dopo aver suggerito l’impiego dei test antigenici rapidi in determinate condizioni, si legge questo passaggio: 

“L’ECDC suggerisce, soprattutto in situazioni di bassa prevalenza di SARS-CoV-2/COVID-19, di utilizzare test con prestazioni più vicine alla RT-PCR, vale a dire sensibilità ≥90% e specificità ≥97%”. 

Ma cosa vuol dire “situazioni di bassa prevalenza”?

Per capirlo, dobbiamo concentrarci su due valori, il PPV e l’NPV, acronimi di valore predittivo positivo e valore predittivo negativo

“Il valore predittivo positivo (PPV) e il valore predittivo negativo (NPV) di un test dipendono dalla prevalenza della malattia nella popolazione target e dalle prestazioni del test, ed entrambe queste caratteristiche debbono essere prese in considerazione nella scelta di utilizzo di un test antigenico rapido che abbia sensibilità e specificità non elevate.”

Sintetizzando al massimo, la sensibilità e specificità del test impiegato devono essere commisurate alla prevalenza del virus in un determinato contesto. 

In questa tabella si fa un po’ di chiarezza.

nuovi criteri di diagnosi COVID

Più bassa è la prevalenza, maggiore dovrà essere la percentuale di sensibilità e specificità dei test antigenici rapidi impiegati.

Vediamo perché. 

Prevalenza, sensibilità e attendibilità dei test antigenici rapidi

Nel documento il Ministero spiega che in un contesto ad alta prevalenza, ovvero dove il virus circola in misura maggiore rispetto alla popolazione coinvolta (ad esempio un ospedale o una RSA), i test antigenici rapidi mostreranno con ogni probabilità un PPV elevato. 

È probabile, quindi, che la positività di un test antigenico rapido sia indicativa di una vera infezione, non richiedendo conferma con test molecolare. 

Invece, in un contesto a bassa prevalenza, i test potrebbero mostrare un NPV elevato e un PPV basso, rilevando un caso altamente contagioso. Un risultato positivo richiede una conferma immediata tramite tampone molecolare. 

Impiego dei test antigenici rapidi nelle persone con e senza sintomi

Vediamo, ora, come devono essere impiegati i test antigenici rapidi nella popolazione, a seconda della presenza di persone con sintomi e/o asintomatici. 

Persone con sintomi

Laddove non fosse possibile effettuare uno screening di massa con i tamponi molecolari, o fosse essenziale ottenere il risultati in tempi rapidissimi, può essere considerato l’uso dei test antigenici rapidi in individui con sintomi compatibili con COVID-19 nei seguenti contesti:

  • situazioni ad alta prevalenza, per testare i casi possibili/probabili;
  • focolai confermati tramite RT-PCR, per testare i contatti sintomatici, facilitare l’individuazione precoce di ulteriori casi nell’ambito del tracciamento dei contatti e dell’indagine sui focolai;
  • comunità chiuse (carceri, centri di accoglienza, ecc.) e ambienti di lavoro per testare le persone sintomatiche quando sia già stato confermato un caso con RT-PCR;
  • in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari, o per il triage di pazienti/residenti sintomatici al momento dell’accesso alla struttura o per la diagnosi precoce in operatori sintomatici.

Il test va eseguito il più presto possibile, entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi. In caso di esito negativo, va ripetuto tramite tampone molecolare o nuovo test rapido entro 2-4 giorni. In attesa dei risultati, valgono le regole che stabiliscono la quarantena e l’isolamento. 

Persone asintomatiche

L’uso di test antigenici rapidi può essere raccomandato per testare le persone, anche asintomatiche, quando ci si aspetta una certa percentuale di positività: 

  • nelle attività di contact tracing, per testare contatti asintomatici con esposizione ad alto rischio;
  • nelle attività di screening di comunità per motivi di sanità pubblica (es. ambito scolastico, luoghi di lavoro, ecc). In tale situazione, il rischio di non rilevare tutti i casi o di risultati falsi negativi è bilanciato dalla tempestività dei risultati e dalla possibilità di effettuare test periodici;
  • in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari quali comunità chiuse o semichiuse (ad es. carceri, centri di accoglienza per migranti), in aree con elevata trasmissione comunitaria per lo screening periodico dei residenti/operatori/visitatori; riguardo RSA, lungodegenze e altri luoghi di assistenza sanitaria, l’impiego dei test antigenici rapidi di ultima generazione può essere considerato laddove sia necessario adottare con estrema rapidità misure di sanità pubblica. 

In questi casi il test va eseguito prima possibile e entro 7 giorni dall’ultima esposizione. In caso di singola esposizione, va eseguito tra il terzo e il settimo giorno.

Questo grafico riassume un po’ quanto indicato nel documento dal Ministero della Salute. 

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