
Il problema delle liste d’attesa nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano ha assunto i contorni di una vera e propria emergenza, percepita con crescente preoccupazione dai cittadini.
Le lunghe tempistiche per ottenere visite ed esami diagnostici sono diventate un ostacolo significativo all’accesso tempestivo alle cure di cui i pazienti necessitano nella propria Azienda Sanitaria Locale (Asl) e nella Regione di appartenenza.
La percezione diffusa tra gli italiani è che le attese per le prestazioni sanitarie siano eccessive.
Un recente sondaggio Ipsos ha rivelato che, sebbene la maggioranza degli italiani sia tendenzialmente soddisfatta dell’offerta sanitaria garantita nel nostro Paese, il 73% individua come principale criticità proprio i tempi di attesa lunghi per accedere agli esami diagnostici necessari, per ricevere una prima visita (67%) e la carenza di personale medico e sanitario (58%).
Un’altra analisi, effettuata da Altroconsumo, ha invece evidenziato che più della metà delle visite (52%) e più di un terzo degli esami (36%) superano i tempi massimi previsti dalle normative, con attese medie di circa 105 giorni. Ancora più allarmante è che spesso sono proprio le visite più urgenti (con priorità “U” o “B”) a non rispettare i tempi stabiliti.
Secondo quanto riportato nel Rapporto Civico Salute 2024 di Cittadinanzattiva, le principali difficoltà di accesso alle prestazioni sono le seguenti:
- impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate (31,1%);
- difficoltà a contattare il Cup/Programmare visite (10,1%);
- tempi d’attesa lunghi nel contatto con il Cup (9,9%);
- il medico che effettua la prima visita non programma/prenota i necessari futuri controlli (9,1%);
- disorientamento per mancanza d’informazioni (8,1%);
- mancanza di tutela in caso di mancato rispetto dei codici di priorità (7,8%);
- mancata riprogrammazione da parte della struttura chiamata attiva (7,7%);
- mancato rispetto dei codici di priorità U, B, D, P, (6.3%);
- necessità di doversi rivolgere al MMG/PLS per ricevere nuova prescrizione per la prestazione sospesa (5,7%);
- malfunzionamento sito internet per prenotazione (4,2%).
Di fronte a questa emergenza, il Governo italiano è intervenuto con misure urgenti volte alla riduzione dei tempi delle liste d’attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie. Nello specifico, la legge n.107 del 29 luglio 2024, in attuazione del decreto 7 giugno 2024, n. 73, ha introdotto importanti novità, tra cui l’istituzione della Piattaforma Nazionale Liste di Attesa (PNLA). Il decreto del Ministro della Salute del 17 febbraio 2025 ha poi definito le Linee guida di realizzazione, funzionamento e interoperabilità della PNLA.
Questa piattaforma si propone di garantire, a livello nazionale, il monitoraggio relativo ai tempi di attesa in relazione alle classi di priorità e alla disponibilità delle agende. L’obiettivo dichiarato è offrire ai cittadini una maggiore trasparenza e la possibilità di accedere in tempo reale ai dati di monitoraggio sui tempi di attesa. Purtroppo, come segnala la Fondazione Gimbe, mancano i decreti attuativi.
Indice dei Contenuti
- Le cause profonde delle liste d’attesa
- 1. Sottofinanziamento del sistema sanitario e diminuzione della spesa rispetto al PIL
- 2. Carenza di personale medico e sanitario
- 3. La medicina difensiva e l’inappropriatezza prescrittiva
- 4. Blocco delle assunzioni e limiti al tetto di spesa per il personale
- 5. Ritardi nell’approvazione e nell’attuazione dei decreti attuativi
- Cos’è la Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa (PNLA)?
- Tempi massimi di attesa e classi di priorità per le prestazioni sanitarie
- Cosa fare in caso di superamento dei tempi massimi o di liste d’attesa bloccate
- L’impatto delle lunghe attese sulla salute
- Il ruolo della sanità integrativa
Le cause profonde delle liste d’attesa
Le lunghe liste d’attesa nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non sono un fenomeno monolitico, ma derivano da una complessa interazione di fattori strutturali, economici e gestionali.
Vediamo quali sono queste cause.
1. Sottofinanziamento del sistema sanitario e diminuzione della spesa rispetto al PIL
Un contributo significativo all’allungamento dei tempi di attesa è rappresentato dalla diminuzione relativa dei finanziamenti destinati alla sanità.
La spesa sanitaria, dopo un aumento durante la pandemia da COVID-19, è tornata a scendere fino a raggiungere il minimo del 6,2% del PIL nel 2023, con una leggera risalita prevista al 6,3% nel 2024 e 2025. Questa contrazione finanziaria oggettiva inevitabilmente incide sulla capacità del sistema di offrire prestazioni tempestive.
Secondo il summenzionato sondaggio Ipsos, gli italiani percepiscono la spesa sanitaria pubblica come inferiore alla media europea e ritengono necessario un aumento dei finanziamenti.
2. Carenza di personale medico e sanitario
La mancanza di personale gioca un ruolo cruciale nell’influenza dei tempi di attesa, e il blocco delle assunzioni ha ulteriormente aggravato questa situazione.
Inizialmente si prevedeva l’assunzione di circa 30mila tra medici e infermieri, ma questo piano è scomparso nell’ultima manovra finanziaria, portando anche a scioperi nel settore. La carenza di medici è un problema significativo, tanto che Altroconsumo suggerisce che la maggiore difficoltà nel rispettare i tempi per le visite specialistiche rispetto agli esami (52% contro 36%) possa essere attribuita al fatto che le visite necessitano sempre della presenza di medici, i quali sono sempre più in fuga dal servizio pubblico.
Nella sua analisi Altroconsumo ha rilevato che le lunghe attese sono un problema in qualsiasi struttura del territorio per il 30% degli italiani, ma anche le agende chiuse per indisponibilità di personale rappresentano un problema nel 26% dei casi.
3. La medicina difensiva e l’inappropriatezza prescrittiva
Un ulteriore elemento che contribuisce all’allungamento dei tempi è l’eccesso di domanda, in parte dovuto alla cosiddetta medicina difensiva.
Cosa vuol dire? Per tutelarsi da possibili azioni legali, molti professionisti tendono a prescrivere un numero di esami superiore a quello effettivamente necessario per la diagnosi.
Secondo alcuni studi si stima che almeno il 20% degli esami richiesti risulta essere inutile, percentuale che sale notevolmente per gli esami radiologici di secondo livello come Tac e risonanze magnetiche.
Questa inappropriatezza prescrittiva genera un carico non necessario sulle agende e contribuisce a dilatare i tempi di attesa per tutti.
4. Blocco delle assunzioni e limiti al tetto di spesa per il personale
Come accennato, il blocco delle assunzioni e i limiti al tetto di spesa per il personale sanitario rappresentano vincoli significativi.
Nonostante l’abolizione prevista per il 2025 del tetto di spesa per le prestazioni aggiuntive volte a ridurre le liste d’attesa, il superamento di quello per le assunzioni di personale sanitario rimane un nodo cruciale irrisolto.
La mancanza di una valutazione da parte di Agenas – Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali sulla stima del personale necessario impedisce di fatto nuove assunzioni, rischiando di vanificare l’efficacia della legge sulle liste d’attesa.
5. Ritardi nell’approvazione e nell’attuazione dei decreti attuativi
La lentezza nell’emanazione dei decreti attuativi della legge sulle liste d’attesa (legge 107/2024) contribuisce a mantenere la situazione di stallo.
L’analisi effettuata dalla Fondazione Gimbe evidenzia come, a sei mesi dalla conversione in legge del decreto, solo uno dei sei decreti attuativi previsti risultava approvato al 29 gennaio 2025, mentre altri erano già scaduti.
Questi ritardi paralizzano l’attuazione delle misure previste dalla norma, inclusa la piena operatività della Piattaforma Nazionale.
La complessità della legge, con i suoi numerosi decreti attuativi, e gli ostacoli burocratici e politici, rallentano la pubblicazione dei decreti e rendono incerte le tempistiche di attuazione, allontanando i benefici attesi per i cittadini.
Insomma, il problema complesso delle lunghe liste d’attesa è il risultato di una combinazione di risorse economiche limitate, una cronica carenza di personale sanitario, pratiche di prescrizione inappropriate, vincoli normativi sulle assunzioni e ritardi burocratici nell’implementazione di nuove misure.
Di conseguenza, per affrontare efficacemente la questione è necessario mettere in campo una serie di interventi coordinati su tutti questi fronti.
Cos’è la Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa (PNLA)?
Come accennato prima, in risposta all’emergenza delle lunghe liste d’attesa nella sanità il Governo italiano ha introdotto la Piattaforma Nazionale Liste di Attesa (PNLA) come strumento tecnologico centrale per il monitoraggio e la trasparenza delle prestazioni sanitarie.
La PNLA trova il suo fondamento giuridico nel decreto del Ministro della Salute del 17 febbraio 2025, emanato in attuazione della legge n.107 del 29 luglio 2024, che definisce le Linee guida di realizzazione, funzionamento e interoperabilità della PNLA, stabilendo i requisiti tecnici per la sua implementazione e per la comunicazione con le piattaforme regionali.
L’obiettivo è di creare un sistema integrato a livello nazionale per affrontare il problema delle attese e garantire il monitoraggio relativo ai tempi di attesa in relazione alle classi di priorità e alla disponibilità delle agende sia in regime SSN che in Attività Libero-Professionale Intramuraria (ALPI).
Ma come dovrebbe funzionare questa piattaforma, e quali sono i principali benefici attesi dal suo impiego?
- Caratteristiche tecniche: la PNLA adotterà standard internazionali come FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resources) per garantire uno scambio di dati sicuro e affidabile. L’architettura sarà modulare e scalabile per adattarsi alle esigenze future. La sicurezza dei dati sensibili sarà garantita tramite tecniche di crittografia avanzata e la conformità al GDPR. Ogni accesso e modifica ai dati sarà tracciato, assicurando un monitoraggio completo delle operazioni.
- Monitoraggio centralizzato: la piattaforma consentirà la raccolta e l’analisi dei dati provenienti da tutte le regioni, fornendo un quadro chiaro e dettagliato delle prestazioni sanitarie in lista d’attesa su tutto il territorio nazionale.
- Interoperabilità: la PNLA si baserà su un sistema di interoperabilità avanzata che integra le piattaforme regionali esistenti con un nodo centrale. Le Regioni sono tenute a collaborare fornendo dati aggiornati in tempo reale su agende, prestazioni e prenotazioni. Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto (17 febbraio 2025), le Regioni e le Province autonome dovranno predisporre un progetto operativo per realizzare l’interoperabilità con la PNLA, concordando i tempi di realizzazione con Agenas.
- Trasparenza per i cittadini: attraverso un Portale della Trasparenza, i cittadini e le associazioni potranno accedere in maniera trasparente e in tempo reale ai dati di monitoraggio e agli indicatori predisposti per i tempi di attesa. Questo permetterà di conoscere i tempi medi di attesa per diverse prestazioni (come ecografie, Tac, visite cardiologiche) in base alle classi di priorità. In una fase successiva, si prevede che i cittadini, inserendo il codice della propria ricetta elettronica, potranno verificare la prima disponibilità nella propria Asl. Tuttavia, la prenotazione dovrà sempre avvenire tramite il Centro Unico di Prenotazione (CUP).
- Supporto decisionale per gli addetti ai lavori: la PNLA fornirà servizi anche alle Direzioni Sanitarie, alle Amministrazioni Regionali e Centrali impegnate nel governo e nel monitoraggio delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie. I dati raccolti potranno essere utilizzati per pianificare risorse e interventi mirati e per orientare la programmazione dell’offerta attraverso la verifica aggiornata delle agende disponibili.
- Miglioramento della gestione delle risorse: centralizzando le informazioni e migliorando la gestione delle risorse, il sistema mirerà a diminuire le inefficienze e a ridurre i tempi di attesa.
L‘implementazione della PNLA non è priva di sfide, tra cui le seguenti:
- adeguamento tecnologico delle Regioni: sarà fondamentale un adeguamento tecnologico da parte delle Regioni per garantire l’interoperabilità dei sistemi. Alcune Regioni potrebbero necessitare di aggiornamenti infrastrutturali significativi;
- gestione dei cambiamenti organizzativi: sarà necessario formare gli operatori sanitari e garantire una transizione fluida verso il nuovo sistema;
- protezione dei dati: la gestione di informazioni sanitarie sensibili richiederà una particolare attenzione alla sicurezza dei dati.
Come già evidenziato nella sezione precedente, i ritardi nell’approvazione degli altri decreti attuativi della legge sulle liste d’attesa potrebbero compromettere la piena efficacia della PNLA e dell’intero impianto normativo.
Senza la risoluzione di nodi fondamentali come il superamento del tetto di spesa per il personale, i benefici della Piattaforma potrebbero rimanere limitati a miglioramenti tecnologici e organizzativi.
Tempi massimi di attesa e classi di priorità per le prestazioni sanitarie
I tempi massimi di attesa per le prestazioni sanitarie e le relative classi di priorità sono definiti dal Piano Nazionale di Governo delle Liste d’Attesa (PNGLA), e il rispetto di questi tempi deve essere garantito per tutte le prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dalla sanità regionale pubblica.
Per le prime visite e le prime prestazioni strumentali ambulatoriali, il medico prescrittore (medico di base o specialista) deve indicare una delle seguenti quattro classi di priorità:
- U (Urgente): da eseguire nel minor tempo possibile, e comunque entro le 72 ore.
- B (Breve): da eseguire entro 10 giorni per evitare l’aggravarsi del problema.
- D (Differibile): con attesa massima di 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli esami diagnostici.
- P (Programmata): con attesa massima di 120 giorni.
Per i ricoveri, l’inserimento in lista d’attesa deve avvenire tramite procedura informatizzata, e al momento dell’inserimento devono essere comunicate al cittadino informazioni sul ricovero, la classe di priorità e i tempi massimi di attesa. Anche per i ricoveri sono previste quattro classi di priorità con le seguenti attese massime:
- A: attesa massima di 30 giorni, per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti, o comunque da recare grave pregiudizio alla prognosi.
- B: attesa massima di 60 giorni, per i casi clinici che presentano intenso dolore, o gravi disfunzioni, o grave disabilità ma che non manifestano la tendenza ad aggravarsi rapidamente al punto di diventare emergenti né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.
- C: attesa massima di 180 giorni, per i casi clinici che presentano minimo dolore, disfunzione o disabilità, e non manifestano tendenza ad aggravarsi né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.
- D: attesa massima di 12 mesi, per i casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o disabilità.
Nonostante l’esistenza di queste classi di priorità e tempi massimi, la realtà mostra un mancato rispetto diffuso, come evidenziato da Cittadinanzattiva.




Cosa fare in caso di superamento dei tempi massimi o di liste d’attesa bloccate
In caso di superamento dei tempi massimi di attesa per una prestazione sanitaria o di liste d’attesa bloccate, è possibile intraprendere diverse azioni.
In caso di liste d’attesa bloccate:
- il nuovo decreto sulle liste d’attesa ribadisce l’assoluto divieto per le aziende sanitarie e ospedaliere di sospendere o chiudere le attività di prenotazione. Nonostante ciò, se al momento della prenotazione viene comunicato che la lista d’attesa è bloccata, si suggerisce di:
- segnalare il fatto inviando una comunicazione ufficiale (via PEC) alla Direzione Generale dell’Azienda Sanitaria, all’Assessorato alla Sanità della propria Regione;
- chiamare il CUP (Centro Unico di Prenotazione) per conoscere quali altre strutture possono erogare la prestazione.
In caso di superamento dei tempi massimi per visite o esami:
- se i tempi previsti dalle classi di priorità individuate nel Piano Nazionale di Governo delle Liste d’Attesa (PNGLA) non possono essere rispettati nel servizio pubblico, le direzioni generali aziendali devono garantire l’erogazione delle prestazioni richieste attraverso l’utilizzo dell’attività libero-professionale intramuraria o del sistema privato accreditato, con il paziente che paga solo l’eventuale ticket. Semplificando, il cittadino può recarsi presso una struttura privata convenzionata e pagare solo il ticket e non l’intero costo della prestazione.
In futuro, una volta pienamente operativa, la Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa (PNLA) potrebbe fornire ai cittadini informazioni più dettagliate sulle disponibilità e sui tempi di attesa a livello nazionale e regionale. Tuttavia, al momento, le azioni dirette con le aziende sanitarie e i CUP rimangono i principali strumenti a disposizione del cittadino in caso di superamento dei tempi massimi o di liste bloccate.
L’impatto delle lunghe attese sulla salute
Le lunghe attese per le prestazioni sanitarie hanno un impatto significativo sulla salute dei cittadini.
La conseguenza diretta è che per il 40% degli intervistati da Altroconsumo il proprio problema di salute, in attesa della visita necessaria, è peggiorato.
In casi estremi, ovvero di fronte ai lunghi tempi proposti, il 3% dei cittadini decide di rinunciare alla visita o all’esame prescritto, e quindi di fatto a curarsi.
Sul tema consigliamo la lettura del nostro articolo Rinuncia alle cure: un fenomeno preoccupante.
Il ruolo della sanità integrativa
In un contesto come quello appena descritto, in cui il SSN non riesce a garantire l’erogazione delle prestazioni in tempi ragionevoli, la sanità integrativa assume un ruolo ancora più centrale per i lavoratori e le lavoratrici.
Sempre più spesso, infatti, i fondi sanitari come Fondo ASIM si trovano in una condizione che travalica il perimetro della loro originaria natura integrativa, finendo col rappresentare per gli iscritti la fonte alla quale rivolgersi per usufruire di prestazioni medico-sanitarie per le quali non è possibile attendere i tempi del SSN, senza sostenere costi proibitivi che poi si traducono, come evidenziano i dati, in una preoccupante rinuncia alle cure, costituendo, di fatto, un’altra forma importante di sussidiarietà.
Pur nel rispetto del Servizio Sanitario Nazionale, che va sempre valorizzato, tutelato e sostenuto, i fondi sanitari integrativi, e in particolare quelli negoziali, che adottano i necessari presidi atti ad evitare l’accesso alle prestazioni superflue, possono sopperire alle palesi difficoltà della sanità pubblica e garantire agli iscritti le cure di cui hanno bisogno.
Questo porta benefici non solo ai pazienti, ma anche al SSN stesso, perché accedendo alle prestazioni necessarie si riduce il rischio di complicanze e il conseguente, e inevitabile, aumento dei costi per le casse dello Stato nel fornire le cure, interrompendo così un circolo vizioso a danno esclusivo dei cittadini.