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intervista francesca guerra bocconi

Il direttore responsabile di Asim Informa, Leonardo Degli Antoni, ha intervistato la dottoressa Francesca Guerra, ricercatrice del CERGAS – Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale della SDA Bocconi School of Management, per parlare del rapporto tra sanità e digitale.

Il covid-19 ci ha messo di fronte a limitazioni negli spostamenti, come questi limiti sono diventati opportunità in campo sanitario, anche grazie alla tecnologia che continua a evolversi?

L’emergenza sanitaria del Covid-19 ha messo in luce nuove possibilità per quanto riguarda i modelli organizzativi e i modelli di servizio in sanità. Insieme a tutte le attività gestite da remoto, sono aumentate esponenzialmente anche quelle con i medici: televisite, richieste di ricette, consigli di cura. Insomma, in quel periodo si è capito che c’erano modalità alternative e innovative non valutate fino a quel momento. Si può dire che il Coronavirus abbia aperto una finestra di opportunità anche in questo settore. Allo stesso tempo, però, ha anche messo in evidenza le criticità del nostro Servizio Sanitario Nazionale, perché ancora oggi l’infrastruttura digitale non è matura al punto da permettere sempre un’efficace interconnessione fra le diverse strutture, da un lato, e fra gli erogatori e i pazienti, dall’altro. Le nuove opportunità digitali, peraltro, impongono una sfida forse ancora più difficile: il ripensamento dei modelli organizzativi aziendali e del disegno del servizio per i pazienti. .

Come?

Una strada sono i fondi del PNRR, che permettono di ragionare in maniera completa sulle opportunità offerte dal digitale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina più di 15 miliardi di euro alla sanità e molte di queste risorse sono proprio dedicate all’innovazione digitale del settore e a renderne più moderno l’assetto tecnologico. Ovviamente i fondi del PNRR riguardano diversi ambiti e in molti casi finanziano le strutture e i setting assistenziali. Ma in altri sono invece finalizzati all’interconnessione aziendale, ai device a supporto degli operatori e dei pazienti, all’intelligenza artificiale per sostenere l’assistenza primaria, alla telemedicina e al fascicolo sanitario. Naturalmente sia il fascicolo sanitario sia la telemedicina esistevano già prima del Covid-19, però erano modalità utilizzate ed esplorate meno. Non avevano ancora espresso il loro potenziale. L’emergenza sanitaria, imponendo le relazioni a distanza, ha fatto capire che invece quelle opportunità devono essere maggiormente sfruttate. E ciò, come detto, potrebbe avvenire con il PNRR, che mette a disposizione risorse e ha degli obiettivi. Dobbiamo sottolineare però che il Piano nazionale di ripresa e resilienza è necessariamente generico, quindi sta ai vari contesti regionali trasformare macro-oggetti di lavoro in progetti più specifici. Questo è un aspetto importante, ed è un problema di cui spesso si sente parlare: i fondi ci sono, ma nessuno sa bene come impiegarli. È la parte difficile, anche perché non sempre ci sono le competenze per farlo. Si tratta di una sfida nuova per i dipendenti pubblici, a vari livelli. Poi, c’è il problema che le Regioni hanno stadi di maturità diversi nell’utilizzo del digitale, quindi alcune sono più pronte ad affrontare questa sfida mentre altre sono molto indietro.

In che modo gli enti erogatori di servizi (ospedali, centri diagnostici, ecc.) hanno ampliato la loro offerta?

Partiamo da una premessa, cioè che alcune prestazioni sono e rimarranno sempre in presenza perché richiedono il contatto fra il paziente e il medico, oltre al fatto che a volte il paziente ha bisogno di specifici macchinari che ovviamente non possiede a casa. Quelle prestazioni ovviamente non cambieranno, almeno per ora. Però, gli enti erogatori di servizi, soprattutto quelli più maturi e in grado di cogliere le dinamiche di mercato, stanno sicuramente riflettendo su quali offerte possono essere demandate a una gestione digitale. Per esempio, mi vengono in mente gli strumenti di telemonitoraggio in cui i pazienti rilevano da soli, durante l’arco della giornata, i propri parametri attraverso dei device. Penso al diabete, ma ce ne sono altri. Questa è un’area molto interessante dove l’aspetto digitale è fondamentale

Quali sono le altre prestazioni che ora si possono fare online o a distanza e prima no?

Oltre al telemonitoraggio, ci sono per esempio le televisite e il teleconsulto. Nelle prime il medico si collega con il paziente in videochiamata. Da uno studio che stiamo conducendo con il centro di ricerca CERGAS SDA Bocconi, è emerso che questa modalità è comoda per i pazienti che non si muovono da casa e ottengono la stessa prestazione, ma non è altrettanto vantaggiosa per i medici. Infatti, la durata della visita rimane la stessa e i dottori non risparmiano tempo, anzi a volte ne perdono perché ci sono problemi per il fatto che il paziente non è particolarmente digitale, non funziona l’audio, non c’è molta connessione e altro ancora. Per questo i medici ci dicono che fanno questo servizio esclusivamente per i pazienti, non perché migliora il loro modo di lavorare. Quindi bisogna ancora capire se la televisita è uno strumento utile oppure no. Faciliterebbe il tutto una piattaforma digitale che funzioni bene, senza problemi tecnici, sulla quale il medico possa fare facilmente il login e trovare subito l’elenco dei suoi pazienti, cliccare su un nome e chiamarlo. Invece, ora ci sono ancora soluzioni frammentate, non sempre evolute ed efficaci.

Altri servizi per i quali non è richiesta la presenza fisica del paziente?

Il teleconsulto, un’attività che consiste nel consulto a distanza fra professionisti, al quale può essere presente anche il paziente. Ad esempio, il medico di base, che ha una conoscenza generale e basica, chiama lo specialista, come il cardiologo o il reumatologo, e gli chiede un parere o un approfondimento su un esame o un controllo che deve fare un suo paziente, per sapere come comportarsi. Il paziente potrebbe, in alcuni casi, anche partecipare a questo scambio di informazioni, così da essere a conoscenza di quello che si stanno dicendo i medici. Questa modalità può acquisire un grande valore, ma bisognerebbe strutturare anche in questo caso una piattaforma ad hoc attraverso la quale il dottore possa mettersi facilmente in contatto con lo specialista di cui ha bisogno. Ora, invece, il medico deve chiamare informalmente sul telefono, ma magari non trova la persona con cui parlare o non sa a chi rivolgersi.

A proposito di medici di famiglia, il digitale ha rivoluzionato anche il loro lavoro?

Certo, ora c’è una moltiplicazione delle modalità di contatto. Oltre che al telefono, si può contattare il dottore via WhatsApp, email. Quindi le interazioni sono di più e ciò significa anche che è aumentato il carico di lavoro del medico di famiglia, perché riceve input da più fronti. Su questo tema, c’è uno studio che abbiamo condotto in una cooperativa di medici a Lecco. Per cinque giorni abbiamo rilevato tutti i contatti che 40 medici hanno avuto con i loro pazienti, tra telefonate, email e visite in studio. Ne è emerso che i contatti erano circa 50 al giorno in media, per un totale di quasi 10 mila nei cinque giorni. I risultati della ricerca sono impressionanti perché è venuto fuori che il 90% dei pazienti chiedeva servizi da remoto, come prescrizioni, pareri, indicazioni sulla farmacoterapia, e altro ancora. Allo stesso modo, i medici di base rispondevano per il 75% delle volte a distanza. È evidente che il loro modo di lavorare è cambiato radicalmente.

Ha spiegato che con la tecnologia è aumentato il carico di lavoro dei medici di famiglia, cosa si può fare per aiutarli nella loro attività?

È molto importante che le aziende sanitarie e le Regioni riescano a supportare questa nuova modalità di lavoro dei medici, perché altrimenti rischiano di affogare nella mole di dati e di richieste che gli arrivano tutti i giorni. Alcuni medici, quelli più tecnologici, hanno adottato dei CRM (Customer Relationship Management), dei software gestionali che gestiscono i canali di accesso, l’agenda di studio e le modalità di interazione con il paziente. In pratica, guidano gli utenti su come devono comportarsi per accedere ai vari servizi di cui hanno bisogno. Ad esempio, per avere una ricetta bisogna mandare una email, mentre per gli appuntamenti si deve chiamare la segreteria. Ci sono anche delle app che il paziente può utilizzare per interagire con gli studi medici e con i professionisti. Naturalmente queste non sono modalità adottate da tutti i dottori, sono spese in più che loro devono sostenere perché scelgono di utilizzare tool privati. Aziende e Regioni dovrebbero sicuramente riconoscere questo cambio di paradigma e muoversi di conseguenza.

Quali sono gli ambiti di ulteriore sviluppo, cioè le nuove sfide della sanità nel digitale?

Le nuove sfide della sanità nel digitale sono numerose e riguardano vari fronti. Prima di tutto, però, le aziende e le Regioni devono compiere un passaggio fondamentale, devono cioè prendere consapevolezza del fatto che le nuove modalità di erogazione dei servizi sanitari sono quelle di cui abbiamo appena parlato e che l’aspetto tecnologico sarà sempre più importante. Una consapevolezza che, forse, non hanno ancora. Poi, come già spiegato, è fondamentale sostenere il lavoro dei medici di famiglia. Questi nuovi software gestionali si stanno inserendo nel mercato e sono sicuramente un’interessante opportunità. C’è anche un altro aspetto molto importante, cioè che i vari livelli istituzionali si devono impegnare per riordinare i sistemi informativi, in modo che si crei un ecosistema digitale il più possibile omogeneo e non frammentato, di supporto all’attività dei professionisti sanitari: i software regionali e aziendali che loro utilizzano giornalmente devono essere ordinati, comodi e semplici da usare e le informazioni contenute dovrebbero essere interoperabili fra un sito e l’altro. Ciò porterebbe benefici anche per i cittadini, perché una gestione più efficiente dei loro dati si rifletterebbe anche sul Fascicolo sanitario elettronico, l’unico portale a cui hanno accesso i pazienti. Lo renderebbe più ordinato e completo, insomma migliore. Infine, sempre a proposito dell’interoperabilità dei dati, bisogna migliorarla fra le strutture in modo tale che i professionisti riescano a vedere i dati del paziente tra ospedale e territorio.

In che modo realtà come i fondi integrativi, le società di mutuo soccorso, le assicurazioni possono estendere le loro prestazioni o facilitare le modalità di accesso utilizzando la tecnologia?

Questi attori devono prendere consapevolezza delle nuove modalità di interazione degli utenti con il Servizio Sanitario Nazionale e adeguarsi a ciò. Come detto, ovviamente gran parte della loro attività è volta alla facilitazione e all’avvicinamento dell’utenza ai servizi sanitari che restano fisici. Però quello che possono fare è far sì che tutto il processo di prenotazione, visualizzazione dei referti e attività amministrativa di inserimento del rimborso sia il più possibile digitale e intuitivo.

Tutti questi cambiamenti porteranno alla nascita di nuove figure professionali?

Penso di sì, a vari livelli. Pensando alla medicina generale, potrebbero diventare importanti figure facilitatrici del lavoro del medico, come il personale amministrativo. Così facendo i medici riuscirebbero a concentrarsi sulla parte clinica, senza doversi occupare di email, chiamate e quant’altro.

Come si può intervenire affinché lo sviluppo digitale in questo ambito non tagli fuori le fasce più deboli, anziani e persone indigenti, oltre a chi abita in zone senza connessioni o lontane da strutture ospedaliere?

È il grande tema del digital divide, la sfida di oggi. La digitalizzazione è la direzione verso la quale stiamo andando, quindi è importante prenderne consapevolezza per cercare di muoversi per strutturarla al meglio. Per farlo, è fondamentale occuparsi di chi non ha accesso alla rete o non ha familiarità con il digitale, come gli anziani e le fasce più deboli appunto. Questo problema appartiene al presente, ma esisterà anche in futuro. Una soluzione è l’accompagnamento all’utilizzo dei servizi. Poi, nelle aree suburbane o rurali, ci sono strutture di prossimità, punti dove i pazienti trovano sia servizi sanitari sia sociali. Cioè servizi assistenziali svolti da operatori specializzati, che aiutano gli utenti in difficoltà con la tecnologia a fare le cose di cui hanno bisogno. Purtroppo non è ancora così ovunque, però bisogna lavorare perché lo diventi.

Leonardo Degli Antoni
Direttore Responsabile Asim Informa