
La rinuncia alle cure rappresenta un ostacolo significativo all’accesso ai servizi sanitari, con conseguenze negative sulla salute pubblica. Intro.
Questo fenomeno, che si traduce in persone che evitano o ritardano la ricerca di assistenza medica, può portare a un peggioramento delle condizioni di salute e a un aumento della mortalità, specialmente tra gli anziani affetti da malattie croniche.
L’accesso alle cure in modo equo e tempestivo è un principio fondamentale, riconosciuto anche dalla nostra Costituzione all’articolo 32:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
Attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, l’obiettivo è garantire a tutti i cittadini, in particolare alle fasce più vulnerabili, come gli anziani e le persone a basso reddito, la possibilità di ricevere le cure necessarie. In questo modo si contribuisce a ridurre il rischio che difficoltà economiche possano tradursi in barriere nell’accesso alla salute.
Purtroppo, gli ultimi dati disponibili denunciano l’esistenza di una piaga sociale, prima ancora che sanitaria, che non accenna a rientrare.
Approfondiamo insieme, e vediamo qual è la situazione della rinuncia alle cure nel nostro Paese.
Indice dei Contenuti
La rinuncia alle cure in Italia
Al momento sono diversi i rapporti e le analisi dedicate al fenomeno della rinuncia alle cure in Italia, e tutti denunciano uno scenario davvero molto grigio e preoccupante.
Facciamo, quindi, un rapido riassunto dei principali dati ad oggi disponibili.
1. ISTAT
Secondo l’ultimo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (BES) dell’ISTAT, nel 2023, il 7,6% della popolazione dichiara di aver rinunciato a prestazioni. Forse la percentuale non riesce a restituire in modo immediato l’ampiezza del fenomeno, quindi può risultare più efficace un numero: 4,6 milioni di persone.
Sono 4,6 milioni le persone, in Italia, che hanno rinunciato alle cure mediche nel solo 2023, un numero immenso.
Dopo l’eccezionalità del periodo pandemico, quando i tassi erano quasi raddoppiati (dal 6,3% nel 2019 all’11,0% nel 2021), nel 2022 la percentuale di persone che avevano dovuto rinunciare alle cure era scesa al 7,0% e si era pressoché riallineata al valore pre-COVID, per poi crescere nuovamente nel 2023.
La quota della rinuncia a prestazioni sanitarie cresce all’aumentare dell’età:
- nel 2023, partendo dall’1,3% rilevato tra i bambini fino ai 13 anni, la quota mostra un picco nell’età adulta tra i 55-59enni, dove raggiunge l’11,1%, per restare elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%);
- l’incremento tra il 2022 e il 2023 riguarda solo la popolazione adulta (18-64 anni), che passa dal 7,3% all’8,4%;
- si confermano le ben note differenze di genere: la quota di rinuncia è pari al 9,0% tra le donne e 6,2% tra gli uomini, con un divario che si amplia ulteriormente nell’ultimo anno per l’aumento registrato tra le donne adulte;
- sul territorio, l’incremento del 2023 rispetto all’anno precedente si concentra soprattutto al Centro (dal 7,0% all’8,8%) e al Sud (dal 6,2% al 7,3%).
2. PASSI d’Argento
Il sistema PASSI d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità si concentra, invece, sui cittadini over 65. Dall’analisi condotta, relativa al biennio 2022/2023, emerge che:
- il 18% degli ultra 65enni ha dichiarato di aver rinunciato, nei 12 mesi precedenti l’intervista, ad almeno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno;
- il 61% ha riferito di non aver rinunciato a nessuna visita o esame;
- il 21% ha dichiarato di non averne avuto necessità.
Escludendo gli anziani che hanno dichiarato di non aver avuto bisogno di visite o esami, la percentuale di coloro che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie sale al 23%, circa uno su quattro.
La rinuncia è risultata più frequente tra le donne (25% vs 21% fra gli uomini) e fra le persone più svantaggiate per difficoltà economiche (39% tra coloro che hanno dichiarato di arrivare a fine mese con molte difficoltà vs 20% rispetto a chi non ne ha) o per bassa istruzione (24% tra chi ha al più la licenza elementare vs 19% tra i laureati).
I risultati mostrano anche un significativo gradiente geografico a sfavore delle Regioni del Centro e Sud d’Italia, dove la stima di chi rinuncia arriva al 27% (vs 16% nel Nord).
Tra coloro che hanno dovuto rinunciare ad almeno una visita o a un esame diagnostico pur avendone bisogno, più della metà (55%) ha indicato le lunghe liste d’attesa come causa principale, il 13% la difficoltà nel raggiungere la struttura (eccessiva distanza o mancanza di mezzi di trasporto adeguati) o orari poco convenienti, mentre il 10% ha dichiarato come motivo i costi troppo elevati delle prestazioni sanitarie.
L’unico dato “positivo” riguarda il confronto con il periodo più intenso della Pandemia, quindi gli anni dal 2020 al 2022, quando la percentuale di rinuncia alle cure aveva raggiunto il 50%.
3. CNEL
Secondo l’ultima “Relazione sui servizi pubblici” elaborata dal CNEL, si segnala la crescita del fenomeno della rinuncia alle cure necessarie per problemi economici e organizzativi, che ha raggiunto nel 2023 il valore del 7,6% della popolazione, in linea con quanto segnalato da ISTAT.
Si evidenzia, inoltre, la crescita dell’impoverimento determinato da cause legate alla salute, che tocca l’1,6% delle famiglie, conseguente all’aumento della spesa privata dei cittadini (+ 5% solo nell’ultimo anno).
Aumentano anche le disuguaglianze tra la popolazione immigrata e quella autoctona rispetto all’accesso alle cure, agli esiti di salute materno-infantile e all’appropriatezza di utilizzo dei servizi
del sistema sanitario.
4. Cittadinanza Attiva
Anche secondo il Rapporto civico sulla salute 2024, realizzato dall’organizzazione Cittadinanzattiva APS, la quota delle persone che hanno dovuto fare a meno delle cure ammonta al 7,6% dell’intera popolazione nel 2023, in aumento rispetto al 7,0% dell’anno precedente, che in numeri più comprensibili si traduce in 372 mila persone in più.
Sul tema segnaliamo anche l’intervista, pubblicata sul numero 15 di Asim Informa, a Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva, della quale riportiamo un piccolo estratto:
“Ancora una volta è emerso il tema della difficoltà di accesso alle cure sanitarie. Delle 24.043 segnalazioni elaborate dall’associazione nel 2023 […] la parte più significativa – pari a un terzo del totale – riguarda proprio il mancato accesso alle prestazioni. Difficoltà a prenotare le prime visite e gli esami necessari per arrivare a una diagnosi, impossibilità o ritardi nel programmare i controlli successivi. L’“accesso”, insomma, è la vera piaga della sanità pubblica. […] al cittadino sembra di trovare chiusa la porta di accesso al Servizio Sanitario Nazionale per via delle liste d’attesa, della situazione di pronto soccorso, dell’assistenza primaria che non è ancora ben organizzata.”
Cause principali della rinuncia alle cure
Le cause principali della rinuncia alle cure, secondo le fonti disponibili, sono molteplici e interconnesse.
Proviamo a delineare un quadro dettagliato.
- Liste d’attesa prolungate: nel 2023, le liste d’attesa per visite specialistiche, esami diagnostici e interventi chirurgici, sono diventate la prima causa di rinuncia, superando anche i motivi economici, come evidenziato nel report Meridiano Sanità, il Think Tank di The European House – Ambrosetti, che segnala una percentuale pari al 4,5% della popolazione nel 2023, oltre 2,8 milioni di persone. Questo problema è particolarmente sentito nelle regioni meridionali. Le liste d’attesa non solo creano insoddisfazione, ma possono anche portare a un peggioramento delle condizioni di salute dei pazienti, che a volte si vedono costretti a rivolgersi al settore privato. La sproporzione tra i tempi di attesa nel settore pubblico e quelli nel privato (intramoenia) è un’ulteriore criticità.
- Difficoltà economiche: molti cittadini rinunciano alle cure perché non possono permettersi i costi delle visite specialistiche, degli esami diagnostici o dei ticket. Questo problema incide soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione, come anziani e persone a basso reddito. Nel 2023, la spesa sanitaria out-of-pocket, ha raggiunto i 40,6 miliardi di euro, con un incremento di oltre 10 miliardi di euro rispetto al 2014 e di 600 milioni di euro sull’anno precedente.
- Barriere logistiche: la difficoltà a raggiungere le strutture sanitarie, a causa della mancanza di trasporti adeguati o di orari scomodi, è un altro fattore che contribuisce alla rinuncia alle cure.
- Percezione di scarsa efficacia dei servizi: alcune persone rinunciano alle cure a causa della percezione di una scarsa efficacia dei servizi sanitari.
- Mobilità sanitaria: circa il 20% dei pazienti, una percentuale che sale al 29% nei minori, è costretto a ricorrere alla mobilità sanitaria, e quindi a spostarsi in un’altra Regione rispetto a quella di residenza, per accedere a cure adeguate.
Conseguenze della rinuncia alle cure
Le conseguenze della rinuncia alle cure sono molteplici e impattano sia sulla salute individuale che sul sistema sanitario nel suo complesso.
Nel dettaglio, si assiste a:
- Peggiore stato di salute e aumento della mortalità: la rinuncia alle cure mediche, specialmente tra gli anziani e le persone con malattie croniche, può portare a un peggioramento delle condizioni di salute. La mancanza di controlli e cure costanti può causare complicazioni gravi e irreversibili. Inoltre, trascurare le cure aumenta i tassi di mortalità precoce.
- Aumento dei costi sanitari a lungo termine: la mancata prevenzione e cura delle malattie comporta un maggiore ricorso ai servizi di emergenza e ospedalizzazione, che risultano più costosi rispetto alla gestione preventiva e alla cura ambulatoriale. Questo approccio “reattivo” anziché proattivo porta a una gestione meno efficiente delle risorse sanitarie.
- Aumento delle disuguaglianze sociali: la rinuncia alle cure colpisce in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili della popolazione, come anziani, persone a basso reddito, donne e individui con bassa istruzione. Questo fenomeno amplifica le disuguaglianze nell’accesso alla salute, creando un circolo vizioso in cui chi è già svantaggiato vede peggiorare ulteriormente la propria situazione.
- Impatto sulla qualità della vita: la rinuncia alle cure ha un impatto negativo sul benessere fisico e psicologico delle persone, limitando la loro autonomia e partecipazione attiva alla società. Le lunghe liste d’attesa e la difficoltà ad accedere ai servizi sanitari generano frustrazione e insoddisfazione.
- Difficoltà di accesso al SSN: la rinuncia alle cure è diventata la prima causa di mancato accesso ai servizi sanitari, superando anche i motivi economici nel 2023. Questo indica una criticità strutturale nel sistema, che non riesce a garantire l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
- Aumento della morbilità: la rinuncia alle cure incrementa il rischio di sviluppare malattie croniche, che a loro volta richiedono un maggiore impegno di risorse e cure a lungo termine.
Insomma, la rinuncia alle cure non è un problema isolato, ma un fenomeno con conseguenze sistemiche che minano l’efficacia e l’equità del sistema sanitario.
Fondi insufficienti per il SSN
Il rapporto Meridiano Sanità dedica molto spazio al finanziamento della spesa sanitaria che, nel 2023, ha raggiunto i 131,1 miliardi di euro, in linea con i livelli del 2022.
Tra il 2012 e il 2023, la spesa sanitaria corrente è aumentata da 108,6 a 131,1 miliardi di euro, con una crescita complessiva del 28% (+20,7%), mentre il finanziamento ordinario del SSN è passato da 106,9 a 128,9 miliardi di euro (+20,6%).
Tuttavia, a partire dal 2017, si è verificato un crescente disallineamento tra la spesa sanitaria e il finanziamento ordinario, evidenziando una situazione di sottofinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale.
Questo divario ha raggiunto il massimo nel 2022, quando la differenza tra spesa e finanziamento ha superato i 9,6 miliardi di euro, indice di una crescente pressione sul SSN per sostenere i livelli di spesa senza un adeguato supporto finanziario. Negli ultimi 2 anni, il divario si è leggermente ridotto (4,8 miliardi di euro nel 2024, secondo le stime preliminari), anche se persiste un’importante discrepanza tra risorse e spesa.
Per il 2024, a fronte di un finanziamento pari a 134 miliardi di euro, è stata stimata una spesa sanitaria pari a 138,8 miliardi di euro, quindi superiore ai fondi stanziati.
Qual è il ruolo della sanità integrativa?
Il ruolo della sanità integrativa è quello di affiancare e supportare il Servizio Sanitario Nazionale, offrendo una copertura aggiuntiva per le spese sanitarie e contribuendo a ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure.
In uno scenario come quello fin qui delineato, in cui quasi 5 milioni di persone rinunciano alle cure mediche per varie ragioni, in particolare a causa di risorse limitate destinate al SSN, la sanità integrativa gioca un ruolo sempre più importante, soprattutto i fondi negoziali, come il Fondo ASIM.
La sanità integrativa, attraverso le prestazioni offerte, come ad esempio alcune visite specialistiche, esami diagnostici, cure odontoiatriche e soprattutto con i piani di prevenzione primaria e secondaria permette ai cittadini di avere maggiore scelta e flessibilità nella gestione della propria salute e di accedere a servizi che altrimenti sarebbero difficili da ottenere tramite il SSN.
Inoltre, l’accesso alle prestazioni dei fondi sanitari può favorire la riduzione dei tempi di attesa per determinate prestazioni, offrendo un’alternativa più rapida rispetto alle lunghissime liste d’attesa della sanità pubblica.
Questo aspetto assume una particolare rilevanza per le patologie croniche, dove la tempestività dell’intervento può fare la differenza per la prognosi e la qualità della vita.
Infine, la sanità integrativa può contribuire a diminuire la pressione sul SSN, permettendo una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse sanitarie.